2 agosto 2010
Per il Centenario della nascita di Mario Pannunzio, un nuovo saggio a cura del prof. Pier Franco Quaglieni
Di questo 2010 saranno in pochi a ricordare il Centenario della nascita
di Mario Pannunzio, grande giornalista liberale lucchese.
Saranno in pochi perché purtroppo - o per fortuna - Pannunzio è la
figura più scomoda del panorama politico e culturale del '900 italiano.
Scomodo a destra perché antifascista della prima ora, sin da quando
collaborava con il pur conservatore Leo Longanesi ad "Omnibus".
Scomodo a sinistra perché anticomunista sino ad essere il primo a
denunciare, sulle colonne del suo "Risorgimento Liberale", il dramma
delle foibe e poi i crimini dei gulag sovietici, nei quali finì anche
suo padre, pur militante comunista.
Scomodo a quel centro clericale democristiano che fu, nei fatti, il continuatore di certa politica conservatrice e fascista.
Mario Pannunzio, fra i fondatori del Partito Liberale Italiano, se ne
discostò allorquando il partito di Cavour, Benedetto Croce e Luigi
Einaudi, preferì l'alleanza con qualunquisti e monarchici.
Fu allora che Pannunzio fondò, nel 1949, il settimanale "Il Mondo":
espressione della cultura e della politica laica e liberaldemocratica
italiana.
A "Il Mondo" collaborò la crème del giornalismo, della politica e della
cultura del dopoguerra: da Ugo La Malfa a Giovanni Spadolini; da Ernesto
Rossi a Gaetano Salvemini, a Luigi Einaudi, a Bendetto Croce,
raccogliendo così gli ex azionisti non giacobini, i liberali, i
repubblicani, i socialisti autonomisti e tutti coloro i quali ritenevano
possibile uno spazio politico capace di contrapporsi alle due "Chiese" autoritarie:
marxista e cattolica.
Sarà dunque "Il Mondo" ed il successivo Partito Radicale dei Liberali e
dei Democratici, fondato dalla stesso Pannunzio e dalla "sinistra
liberale", a lanciare le prime battaglie contro la speculazione
edilizia, contro i monopoli, la devastazione del paesaggio, a favore del
divorzio e dei diritti delle minoranze e a denunciare il dilagante
malcostume politico che nacque all'indomani della fondazione della
Repubblica italiana.
Tutto ciò e molto altro ancora è raccontato fra le bellissime pagine di
rievocazione del saggio curato dal prof. Pier Franco Quaglieni: "Mario
Pannunzio. Da Longanesi al Mondo", edito da Rubbettino.
Si alternerano, qui, interventi di Pierluigi Battista, Marcello
Staglieno, Carla Sodini, Girolamo Cotroneo, Guglielmo Gallino, Mirella
Serri, Angiolo Bandinelli, Mario Soldati e dello stesso Quaglieni, che è
Presidente del Centro Pannunzio di Torino e che oggi è il depositario
di quanto ci è rimasto di Mario Pannunzio e della sua opera.
Un saggio fra i pochi, purtroppo, assieme a quelli di Massimo Teodori e
di Mirella Serri che sono stati pubblicati in questi ultimi anni.
Un saggio di rievocazione storica e giornalistica, di un giornalismo di
denuncia e di proposta politica che non c'è più, ma del quale si sente
assolutamente necessità in un'Italia per nulla moderna.
Un'Italia che, come scriveva lo stesso Pannunzio, ha purtroppo da sempre
espresso il proprio voto per partiti "indigeni" e conservatori: fossero
essi comunisti, cattolici e persino fascisti o monarchici.
"Su un elettorato di trenta milioni di individui" - scriveva Pannunzio
nel 1966 - "ventitue milioni vanno a partiti diciamo così indigeni che,
ad esempio, in Inghilterra e in America, in Scandinavia in pratica
neppure esistono".
Gli Amici de il Mondo ed i pannunziani si sentivano invece
rappresentati dai partiti della cosiddetta "Terza forza": liberali,
repubblicani, radicali e socialisti, i quali in Occidente erano infatti
il sale della democrazia e si contrapponevano all'oscurantismo
clericale, marxista o conservatore in genere.
Partiti che, al governo dell'Italia, argineranno sino al 1992 il
clericalismo ed il conservatorismo della Dc, ma che fondamentalmente non
riusciranno mai a costruire un'alternativa di governo alla stessa a
causa della loro esiguità e delle loro divisioni interne.
E' così che il sogno di Mario Pannunzio rimarrà incompiuto. Interrotto,
alla sua morte, dal sessantottismo, successivamente dal nascente
comporomesso storico fra le "Chiese" Dc e Pci ed ucciso del tutto dalla falsa rivoluzione di
Tangentopoli che, anziché moralizzare la vita pubblica, condannò a morte
sicura i partiti democratici e consegnò l'Italia alle mezze calzette
della politica d'oggi.

Luca Bagatin
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