19 maggio 2012
Randolfo Pacciardi: profilo politico dell'ultimo mazziniano
Il clima di sfiducia endemica da parte dei cittadini nei confronti della
politica italiana ci riporta
alla mente un grande leader Repubblicano: Randolfo Pacciardi. Pacciardi
fu forse il primo a denunciare la crisi dei partiti, trasformatisi,
dopo il centrismo degasperiano, in veri e propri centri di potere,
talvolta palese, talvolta occulto. Di Randolfo Pacciardi si ricorda
poco, in quanto l'intellighenzia culturale partitocratica,
cattocomunista e clericofascista, fecero di tutto per offuscarne la
memoria e le battaglie politiche e culturali. A un anno dalla
bellissima raccolta di scritti e discorsi curata dall'amico repubblicano
Renato Traquandi, già stretto collaboratore di Pacciardi, ed edita da
Albatros, ecco approdare in libreria, per i tipi della Rubbettino,
"Randolfo Pacciardi.
Profilo politico dell'ultimo mazziniano", del prof. Paolo Palma. Una
biografia completa e corredata anche da rarissime foto in appendice del
leader politico repubblicano, durente la Guerra di Spagna; la lotta al
fascismo; nei primi comizi ed assieme a Capi di Stato e di Governo
italiani e stranieri. Paolo Palma, che Pacciardi conobbe bene,
tratteggia il profilo del leader grossetano di Giuncarico, nato nel
1899, interventista della prima ora a fianco delle forze dell'Intesa e
contro gli Imperi Centrali, al fine di completare l'Unità d'Italia,
sull'esempio del suo maestro Arcangelo Ghisleri, uno dei padri del
repubblicanesimo mazziniano. E fu così, con l'ideale di Giuseppe
Mazzini nel cuore, che Pacciardi, appena quindicenne, si iscriverà al
Partito Repubblicano Italiano e successivamente sarà iniziato alla
Massoneria e, nel 1917, si arruolerà nell'esercito italiano e sarà
inviato al fronte, ove brillerà per ardimento, in particolare
collaborando con le truppe anglo-francesi e sarà decorato con la
Military Cross e
della Croix de guerre avec palme. A guerra terminata, nonostante i
fascisti lo corteggino affinchè passi nelle loro fila, Pacciardi sarà
fra i primi a rifiutare tali tendenziosi inviti e a denunciare il
pericolo totalitario e filo-monarchico del nascente movimento
mussoliniano. Fonderà dunque giornali antifascisti della primissima
ora (cosa assai rara, per quei tempi, se pensiamo che numerosi comunisti
e socialisti passeranno presto nelle file del Duce e che lo stesso
Giovanni Spadolini, successivamente Segretario del PRI, sarà
collaboratore dell'organo antisemita "La Difesa della Razza") e ben
presto fonderà il primo movimento antifascista denominato "Italia
Libera", su principi mazziniani, repubblicani, contro ogni tipo di
lotta di classe e per l'esaltazione del socialismo etico e
dell'insurrezionalismo risorgimentale. Rondolfo Pacciardi, infatti,
fu Repubblicano che seppe rivalutare il pensiero liberalsocialista di
Giuseppe Mazzini, contrapposto al nascente bolscevismo e, ovviamente, al
fascismo nazionalista. Fu così che, nel 1925, partecipò ad un
tentativo insurrezionale per
rovesciare il regime fascista, che, purtroppo, fallì e fu così che, nel
1926, Pacciardi, sarà affidato al confino, ma riuscì a fuggire in
Svizzera, rimanendo in contatto con il movimento antifascista "Giustizia
e Libertà" e gli anarchici e tentando, nel 1931, di organizzare
un'attentato dinamitardo contro Mussolini, anch'esso fallito. Nel
1936 parteciperà alla Guerra civile spagnola, al comando della celebre e
prestigiosa Brigata Garibaldi, contro le truppe nazifasciste e
franchiste ed opponendosi persino ai tentativi dei comunisti di
annientare socialisti ed anarchici. Pacciardi, da buon mazziniano,
fece poi di tutto per fondere il PRI al Partito d'Azione ed attestando
il movimento repubblicano nel solco del socialismo non marxista e
liberale e questo sarà il suo obiettivo per tutto il dopoguerra, ove,
nel frattempo, fu eletto più volte Segretario del PRI. Sarà dunque
chiamato da Alcide De Gasperi alla Vicepresidenza del Consiglio e
successivamente a presiedere il
Ministero della Difesa sino al 1953, nei primi governi centristi
DC-PRI-PSLI-PLI. Fu, assieme a Sforza ed Einaudi, fra i più accesi
sostenitori del Piano Marshall per la ricostruzione e del Patto
Atlantico, anche in funzione anticomunista. Priorità di Pacciardi fu
sempre, infatti, quella di arginare un nuovo pericolo totalitario, nel
dopoguerra proveniente dall'URSS e dal suo partito satellite, il PCI. Fu
così che Pacciardi iniziò a sviluppare la sua idea presidenzialista,
sull'esempio dell'antifascista francese De Gaulle, e a sviluppare le sue
idee federaliste in funzione anti-separatista ed anti-nazionalista, anche sull'esempio della Costituzione degli Stati Uniti d'America. Feroci
furono le critiche al sistema partitocratico, ovvero a quella che
Pacciardi definiva una nuova dittura dei partiti, fatta da interessi di
retrobottega ai danni dei cittadini. Ed in questo fu il primo a
denunciare il sistema diffuso delle tangenti, della corruzione e delle
correnti nei partiti. Il suo anticomunismo lo porterà ad esaltare il
centrismo degasperiano e a diffidare dei socialisti di Nenni, i quali
erano ancora troppo vicini al PCI ed al marxismo. Fu così che egli votò
contro il primo governo di Centro-Sinistra allargato al PSI. Pacciardi
avrebbe preferito infatti la costituzione di una Terza Forza laica,
comprendente repubblicani, socialdemocratici e liberali, da
contrapporre, con il tempo, sia alla DC che al PCI. Il suo voto
contrario al Centro-Sinistra, oltre che le critiche alla partitocrazia,
ad ogni modo, gli costò l'espulsione dal PRI di Ugo La Malfa e
l'ostracismo di gran parte dell'arco parlamentare che, da allora, lo
bollerà come fascista e da allora sarà persino fatto seguire dal
servizio segreto italiano, il Sifar. Pacciardi, ad ogni modo, non si
perderà d'animo e nel 1964, fonderà il movimento d'ispirazione gollista,
nè di destra, nè di sinistra, Unione Democratica Nuova Repubblica,
recante per simbolo una primula stilizzata, il quale, pur avendo
vita breve e scarsi risultati elettorali, porrà le basi per una nuova
battaglia politico-culturale ancora oggi di strettissima attualità: la
proposta di far eleggere il Presidente della Repubblica, con funzioni di
governo e slegato dai partiti, da parte dei cittadini. Randolfo
Pacciardi, richiamava così l'antica battaglia di Mazzini per una
Repubblica democratica di popolo, lontana dai giochi di potere e
restituita ai cittadini. Ciò, ad ogni modo, gli costerà nuove
diffidenze, in particolare quando alla battaglia presidenzialista si
unirà l'ambasciatore Edgardo Sogno, liberale e già eroe antifascista,
ingiustamente accusato di golpismo solo perché aveva dichiarato che
avrebbe arginato, assieme a Pacciardi, ogni tentativo di presa del
potere da parte del PCI, allora finanziato dalla dittatura sovietica, ed
auspicato un governo di emergenza presieduto dallo stesso Pacciardi. L'ultima
battaglia presidenzialista ed antipartitocratica di
Pacciardi e Sogno, ad ogni modo, si terrà nel 1975, al Teatro Adriano
di Roma, dal titolo "Una soluzione democratica alla crisi di regime",
con i giovani del Partito Liberale, pronti ad ostacolare la polizia
qualora avesse tentato di far arrestare Sogno. Randolfo Pacciardi, ad
ogni modo, rientrerà nel PRI nel 1980, per morire, ultra noventenne,
nel 1991. La sua idea di riforma presidenziale sarà ripresa dal
socialista Bettino Craxi, il quale, confiderà proprio di essersi
ispirato a Pacciardi. Tutto ciò e molto altro è scritto e documentato
dal prof. Paolo Palma nell'agile biografia che abbiamo, testè, tentato
di riassumere. E' un testo, assieme a quello dell'amico Traquandi,
pubblicato lo scorso anno, da leggere e diffondere in quanto di
strettissima attualità. Probabilmente se oggi, in luogo dei Beppe
Grillo, ci fosse un Randolfo Pacciardi, ovvero una personalità di questo tipo, con solide radici culturali e
democratiche, forse, una reale speranza di rinascita onesta, civile e
democratica
per l'Italia, ci sarebbe davvero. Occorre dunque ai nuovi mazziniani e presidenzialisti, riprendere questa battaglia non ancora vinta.
 Luca Bagatin
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19 luglio 2011
La fiaba di Bernadette che non ha visto la Madonna
Andrea G. Pinketts, prolifico autore italiano di noir, insignito
dell'alta onoreficenza di Cavaliere al Merito Culturale della Repubblica
Francese, già giornalista d'assalto di inchieste relative alla
criminalità organizzata condotte in prima persona (celebre quella
relativa alla setta dei "Bambini di Satana"), non smette di stupirci. Il
suo linguaggio schietto, musicale e profondamente ironico, fatto di
libere associazioni, dissociazioni, assonanze e doppi sensi mai volgari,
oltre ad averci regalato numerosi trhiller, con "La fiaba di Bernadette
che non ha visto la Madonna", edito da Albatros Il Filo, ci propone per
la prima volta una fiaba moderna.
Una fiaba che, a differenza delle altre, inizia con "E vissero per
sempre felici e contenti" e termina con "C'era una volta". E questo
perché, come spiega l'autore nel prologo, nessuno - tranne che un idiota
- può vivere per sempre felice e contento, ma la fiaba diventa vita
quando termina con un bel "C'era una volta".
La fiaba di Bernadette è dunque la storia di una ragazza sui vent'anni,
strega di Edera Violacea - paese inventato per l'occasione - che esce
dal quadro nel quale è incastonata per finire a Milano ed incontrare,
allo Smooth, Benedetto dalla Doccia, l'eroe di cui si innamorerà.
Bernadette, nel corso della storia, sarà destinata ad invecchiare, ma,
quel che è peggio, i due saranno perseguitati da una banda di malviventi
capitanata da Mida Von Pecunia Y Dinero e dal suo socio Ivan Dragovich.
E tutto ciò perché mai ?
Che cosa nasconde Bernadette che non ha visto la Madonna, ma ha
incontrato un Marcantonio come Benedetto, alter ego di Pinketts ed
amante della pulizia, oltre che armato di un semplice crocifisso, con il
quale riuscirà a sgominare un'intera combriccola di troll cannibali ?
Una fiaba semplice, ma ricca di colpi di scena e di sanguinolenti
delitti che, come sempre, saranno descritti e stemperati con profonda
ironia da Andrea G. Pinketts.
Un libro davvero elegante, stampato su carta patinata ed arricchito
dalle bellissime foto si Mariasole Brivio Sforza, che contribuiscono ad
illustrarne gli eventi salienti.
Un Pinketts nella tripla veste di autore, co-protagonista e di attore da fotoromanzo. Rigorosamente noir.

Luca Bagatin
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2 giugno 2011
"Randolfo Pacciardi": una raccolta di scritti curata da Renato Traquandi
 
Randolfo Pacciardi fu il più
combattivo fra i repubblicani italiani. Nato nel 1899 a Giuncarico
(Grosseto), Pacciardi, fu massone, mazziniano ed antifascista della
primissima ora. Fu eroico combattente e condottiero della Brigata
Garibaldi nella Guerra di Spagna contro il regime franchista e
proseguì poi l'attività antifascista all'estero. Guidò
il PRI nel primo dopoguerra e fu Ministro della Difesa dal 1948 al
1953 nei governi centristi (DC, PSDI, PRI, PLI) presieduti da De
Gasperi. Si oppose alla formula di Centro-Sinistra e quindi ad Ugo La
Malfa che purtroppo lo espulse dal partito negli anni '60. Celebre
la frase di Pacciardi quando gli si chiedeva il motivo per il quale
egli preferiva i governi centristi con la DC, piuttosto che
un'alternativa di sinistra con il PCI : "Meglio una messa al
giorno piuttosto che una messa al muro". Una volta espulso
dal PRI, Pacciardi fondò il movimento politico Unione Democratica
per la Nuova Repubblica, con posizioni schiettamente presidenzialiste
e forse per questo fu sospettato ingiustamente di simpatia fasciste e
golpiste (proprio lui che aveva combattuto il nazifascismo !) e di
aver appoggiato il cosiddetto Piano Solo che avrebbe dovuto portare
ad una svolta autoritaria nel nostro Paese. Niente di più falso e
vergognoso fu detto su di un personaggio al quale la Repubblica e la
democrazia italiana devono moltissimo. Randolfo Pacciardi fu
riammesso nel PRI negli anni '80 e Repubblicano rimase sino alla
morte. Questa, in estrema sintesi, la vita politica di Randolfo
Pacciardi, ma, perché mai si è voluto cancellarne la memoria
storica ? Basta leggere la sua vita, per comprendelo, infondo. E
basta leggere l'unico libro a lui dedicato, pubblicato proprio
quest'anno da Albatros e curato dall'amico repubblicano Renato
Traquandi, che fu per lungo tempo collaboratore di
Pacciardi. "Randolfo Pacciardi" è infatti l'unica
raccolta di scritti, discorsi ed articoli del Nostro, che parlano nel
concreto della sua attività politica: una vita basata sugli ideali
di emancipazione sociale propugnati da Giuseppe Mazzini, ovvero in
totale concorrenza – a sinistra - con i socialisti, i quali, a
parere di Pacciardi, inseguivano le masse, ma raramente pensavano ai
problemi della collettività. Fu per questo che Pacciardi avversò
sempre la formula dei governi di Centro-Sinistra, nei quali i
socialisti facevano il bello ed il cattivo tempo, pensavano ad
accaparrarsi posti di potere, strizzavano l'occhio ai comunisti ed
all'Unione Sovietica ed aumentavano burocrazia e tasse. Nel libro
curato da Traquandi vi è questo e molto altro: vi è l'epopea del
giornale repubblicano fondato da Pacciardi "Etruria Nuova",
quello di "Nuova Repubblica" e, per finire, il periodico
“L'Italia del Popolo”. Si potrà dunque scoprire che Randolfo
Pacciardi fu il primo politico – peraltro totalmente isolato –
che si battè contro la dilagante partitocrazia ed il sistema delle
tangenti che egli, già alla metà degli anni '60, denunciò:
inascoltato da tutti, persino da una magistratura che pensava ad
insabbiare...piuttosto che ad indagare (mentre negli anni '90
utilizzò la clava giudiziaria per colpire solo una parte – quella
democratica ed occidentale – della classe politica). Pacciardi
nella lotta al potere dei partiti giunse dunque decenni prima dei
radicali di Pannella che, chissà perché, lo ignorarono
totalmente. E Pacciardi arrivò prima persino di Bettino Craxi,
proponendo, nei primi anni '70, una Grande Riforma di stampo
presidenziale: Presidente della Repubblica con funzioni di governo
eletto direttamente dal popolo e Parlamento - con funzioni di organo
legislativo - eletto su base proporzionale. Nonchè magistratura con
carriere separate ed intipendente dal potere politico ed eletta dal
popolo. Tutto questo gli causò, purtuttavia, solamente grane:
espulsione dal PRI di Ugo La Malfa ed accusa di cospirazione politica
da parte del magistrato comunista Luciano Violante. Accusa che
finì con un nulla di fatto, visto che nè Pacciardi nè Edgardo
Sogno, suo amico liberale, volevano realizzare un golpe, bensì
propugnavano una Repubblica presidenziale, ove i partiti non fossero
comitati d'affari, ma tornassero alla loro funzione
rappresentativa. Ovviamente ciò dava fastidio alla sinistra
comunista, ai socialisti ante-Craxi - amici dei comunisti - ed al
centro democristiano in particolare la corrente di sinistra, che, con
Moro e Fanfani, aveva fatto del Potere la sua arte. Renato
Traquandi con il suo "Ranfolfo Pacciardi" colma dunque una
lacuna nel panorama politico dell'Italia repubblicana e del Partito
Repubblicano Italiano. Racconta - per mezzo dei suoi stessi
scritti - le vicissitudini di un combattente antifascista,
anticomunista ed antipartitocratico che morì nel 1991 senza alcun
rimpianto ed in piena onestà intellettuale e morale. 
Luca Bagatin
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25 aprile 2011
Randolfo Pacciardi, grande combattente antifascista ed anticomunista, a vent'anni dalla morte: nel ricordo di Luca Bagatin e Renato Traquandi
Randolfo Pacciardi: il più grande fra gli antifascisti
di Luca Bagatin Randolfo Pacciardi nel suo studio; Pietro Nenni e Randolfo Pacciardi durante la Resistenza
Randolfo Pacciardi (1899 - 1991) fu politico, massone e partigiano del Partito
Repubblicano Italiano di cui troppo si tende a dimenticare.
Rarissime se non quasi nulle sono le pubblicazioni a lui dedicate.
Eppure fu audace eroe antifascista della Guerra di Spagna al comando di
una Brigata Garibaldi e della Resistenza; nonché fiero anticomunista
specie dopo aver conosciuto i massacri contro i repubblicani e gli
anarchici operati dai comunisti europei su ordine di Stalin.
Guidò il PRI nel primo dopoguerra e fu Ministro della Difesa dal 1948
al 1953. Si oppose alla formula di Centrosinistra e quindi ad Ugo La
Malfa che purtroppo lo espulse dal partito negli anni '60. Celebre la
frase di Pacciardi quando gli si chiedeva il motivo per il quale egli
preferiva i governi centristi con la DC, piuttosto che un'alternativa di
sinistra con il PCI : "Meglio una messa al giorno piuttosto che una
messa al muro". Una volta espulso dal PRI, Pacciardi fondò il movimento politico Unione
Democratica per la Nuova Repubblica, con posizioni schiettamente
presidenzialiste e forse per questo fu sospettato ingiustamente di
simpatia fasciste e golpiste (proprio lui che aveva combattuto il
nazifascismo !) e di aver appoggiato il cosiddetto Piano Solo che
avrebbe dovuto portare ad una svolta autoritaria nel nostro Paese.
Niente di più falso e vergognoso fu detto su di un personaggio al quale
la Repubblica e la democrazia italiana devono moltissimo.
Randolfo Pacciardi fu riammesso nel PRI negli anni '80 e Repubblicano rimase sino alla morte.
Così questo blog vuole ricordare una grande figura del mazzinianesimo.
Una figura da approfondire certamente.
Alla faccia dei calunniatori di ogni colore politico.
 Luca Bagatin
Randolfo
Pacciardi……. 20 anni dopo di Renato Traquandi (già collaboratore di Randolfo Pacciardi e autore della biografia "Randolfo Pacciardi" edita quest'anno da Albatros)
 
Martedì 19
aprile 2011, dentro l’imponente Palazzo di Piazza Montecitorio, in Roma, alle
ore 15,si è
celebrato il XX anniversario dalla morte di Randolfo Pacciardi.
L’infaticabile, insostituibile, il prezioso, Antonio De Martini,
il custode principale della memoria e degli archivi del deputato repubblicano, è
riuscito a far ricordare il Comandante del Battaglione “Garibaldi” dei volontari
per la libertà della Spagna, democratica e repubblicana, nella guerra vinta dai
militari franchisti , appoggiati fai nazifascismi franco italiani, scoppiata nel
1936.
Randolfo
Pacciardi, nato in un paesino del grossetano, Giuncarico, nel 1899,
giovanissimo, simpatizza subito con gli ideali mazziniani del repubblicanesimo
italiano. E’ uno dei più decorati militari combattenti la prima guerra mondiale
( due medaglie d’argento, una di bronzo, la croce di guerra inglese, un’altra
decorazione della Francia) e subito dopo contrasta virilmente il nascente
regime, fondando con altri militari democratici il movimento “Italia Libera” e,
successivamente, contestando uno dei primi comizi del duce di Piazza
Venezia.
Svolge la
professione di avvocato; ed è durante quel periodo che riesce a far assolvere il
quotidiano
La Voce Repubblicana ,
citata in giudizio dal gerarca Italo Balbo, a cui il giornale aveva attribuito
la diretta responsabilità della morte di Don Minzioni, bastonato a sangue da una
squadra di camice nere emiliane.
Nel 1926,
appena sposato, riesce a raggiungere
la Svizzera , per non finire nelle
purghe fasciste, e a Lugano organizza la “Centrale antifascista” che resterà
famosa per le tante attività svolte, tra le quali l’organizzazione per aiutare i
fuoriusciti.
Il fascismo
riesce a farlo allontanare dalla repubblica elvetica nel 1933; si reca in
Francia, dove prosegue la sua opera a livello europeo, contro il regime italiano
del manganello e dell’olio di ricino.
E’ in
contatto con Carlo e Nello Rosselli, di Giustizia e Libertà, e con tanti altri
italiani che sono stati costretti a fuggire dalla dittatura mussoliniana.
Quando
scoppia in Spagna la guerra civile, si attiva per la realizzazione del
battaglione Garibaldi, composto da italiani difensori delle libertà
democratiche; anche se tra di loro vi sono moltissimi di fede comunista, ancora
ignari del bagno di sangue cui sono sottoposti i dissidenti dell’Unione
Sovietica.
Tutti i
promotori del Battaglione sono concordi ad affidare a Pacciardi il comando, che
lui esercita con il massimo del carisma e della competenza militare.
Nel
1939 in
Spagna viene sconfitta la democrazia. Pacciardi ritorna in Francia, poi si reca in Marocco e da
lì parte per gli Stati Uniti. A New York pensa di portare un progetto: vuole
costituire un Corpo di Spedizione di volontari repubblicani da impegnare in
Europa, a fianco delle forze occidentali, che combattono il nazifascismo.
Il generale
De Grulle e W. Churchill contrastano il suo disegno e convincono gli americani a
soprassedere al progetto, condiviso dalla Mazzini Society di New York, che ha
tra i suoi membri più attivi il Maestro A. Toscanini.
Pacciardi
rientra in patria subito dopo il referendum che vide nascere la repubblica,
essendosi mostrato coerente nel disapprovare la scelta dei badogliani, financo
dei comunisti, che giurarono nelle mani della monarchia. E’ membro
dell’Assemblea Costituente, del Primo Parlamento della Repubblica e Ministro
della Difesa nei primi governi De Gasperi.
Con la
politica centrista in crisi Pacciardi manifesta la sua contrarietà alla
soluzione della sinistra democristiana di coinvolgimento dei socialisti nel
governo ( Nenni nella stanza dei bottoni).
Nel P.R.I.,
grazie anche alla corruzione praticata dai Servizi segreti al Congresso di
Ravenna, la sua corrente diventa minoritaria ed il Partito Repubblicano lo
abbandona.
Mai privo di
risorse e sempre combattivo, Pacciardi fonda nel 1964 l’Unione Democratica Nuova
Repubblica ( www.sentierirepubblicani.it). Attraverso i
settimanali Folla e successivamente Nuova Repubblica, con De Martini, Vitangeli,
Mita e Giano Accame, diffonde la sua idea di repubblica presidenziale,
propugnando l’istituzione del referendum e delle leggi di iniziativa
popolare.
Il prof.
Maranini, noto costituzionalista fiorentino, assieme a molti altri importanti
personaggi della politica e della cultura, segue con simpatia le tematiche
pacciardiane, arrivando a porre la propria firma ad un Manifesto che le
compendia.
Con un
aggettivo sobrio, affatto polemico, ma calzante, “ostracismo”, oggi si definisce
tutta la campagna di contrasto della “partitocrazia” della casta di allora e di
oggi, all’ormai anziano leader mazziniano italiano ed ai suoi uomini; il culmine
viene raggiunto da Luciano Violante, che lo coinvolge in atti che non lo
riguardano e lo “sputtana”, costruendoci la sua carriera politica.
Ottantenne
sarà di nuovo chiamato da la segreteria di Giovanni Spadolini al posto che gli
compete nella Direzione del P.R.I. dove sarà sempre presente, fino all’ultimo
giorno di vita ( 13 aprile 1991).
Questo
preambolo è necessario, per capire la presenza dei politici, della stampa, della
cultura, delle forze dell’ordine e dei militari, di noi veterani e reduci di
Nuova Repubblica, ridotti a poco più di una dozzina, con Antonio De Martini in
testa e Vitangeli, Mita, i nipoti Franco e Giuseppe, e tutti gli altri…. Tutti
con in testa una voglia di commozione, nel rivedere il “vecchio leone” in un
filmato del 1990, e risentire le sue parole, noi……….. i suoi uomini di Nuova
Repubblica.
Il primo a
prendere la parola è il padrone di casa; sobrio, misurato, ammiccante Gianfranco
Fini sa bene che trattare un simile argomento è come giocare con l’esplosivo.
Ne parla con
pacatezza e lo ricorda con enfasi positiva. Fini è un politico di lungo corso.
Da tanti è apprezzato per gli sforzi che da anni va facendo per lucidare
l’ultima divisa che indossa. Ostenta con sorriso accattivante le mostrine
conquistate alle Fosse Ardeatine, a Gerusalemme, a Londra ed a Washington, di
sincero democratico liberale e progressista. Noi tutti apprezziamo i suoi sforzi
e i più tentano di dimenticare il giovane Gianfranco, missino almirantiano,
tanto almirantiano da citarlo, assieme a Pacciardi, in seconda fila tra i
presidenzialisti italiani, subito dopo Calamandrei e “l’insulso avvocatino di
Grosseto”, come lo definì Mussolini agli albori del suo potere nero. Insomma,
una rievocazione utile a portare il mazziniano e repubblicano democratico
Randolfo Pacciardi, nella bisaccia del terzo polo, di cui oggi egli è leader
antiberlusconiano e dove, paradosso ultimo per l’operazione pro domo sua, milita
anche l’ex repubblicano Giorgio
La Malfa , grande assente, se pur invitato,
o quanto meno avvertito.
Del partito
repubblicano era presente Italico Santoro, coinvolto, consapevole, che sorride e
si impegna a stringere mani.. Francesco Nucara non l’ho visto e mi sono
domandato perché mai.
Dopo il
Presidente della Camera pro tempore è stata la volta del Presidente emerito
Oscar Luigi Scalfaro, si proprio colui che con Bartolo Ciccardini avrebbe dovuto
votare contro il centro sinistra, fermati da Oltretevere all’ultimo minuto.
Dall’alto dei suoi 92 anni e dall’autorità dell’incarico ricoperto con lo
smaccato gioco di parte che tutti conoscono, il vegliardo ha ricordato un paio
di episodi salienti, che gli sono venuti in mente, dopo aver ricevuto l’invito a
presenziare. Un doveroso applauso e si va avanti.
L’amico De
Martini è all’altezza del compito che si è prefisso. Nei due monitors laterali della prestigiosa Sala della
Lupa, gremita in ogni ordine di posti,
viene proiettato un breve filmato. Si tratta di un’ intervista concessa
da Pacciardi poco tempo prima della morte.
Sono molti
gli occhi lucidi, nel vedere quelle poche immagine, nel risentire quella voce.
Un fremito di emozione percorre la fila dove sono seduto e le parole di Tonino
penetrano tra gli astanti.
La
cattiveria dimostrata nei confronti del vecchio maremmano dalla protervia del
potere politico che lo sepolte nell’oblio traspare e sovrasta l’ambiente. Il
male è che sovrasta l’aula, si disperde per quei corridoi; ma il tanto tempo che
è passato annacqua le colpe e le assolve.
Perché non è
presente Luciano Violante? Cosa avrebbe detto questo 19 aprile 2011, nella Sala
della Lupa? E’ stato solo uno strumento del destino?
Dopo Antonio
De Martini, artefice della catalogazione dell’archivio pacciardiano donato alla
Camera dei Deputati, è la volta del generale Angioni, poi di Paolo Palma e di
Giorgio Rebuffa.
Il
pressapochismo, le inesattezze, la superficialità, e sinanco l’ipocrisia, sono
il comune denominatore di questi ultimi interventi.
Pacciardi
aveva tre fratelli ( erano in cinque, invece, quattro maschi ed una femmina), è
rimasto un erede, Franco, e c’era presente anche l’altro nipote, Giuseppe,
Pacciardi nell’Isonzo anziché nel Livenza, Pacciardi a Lugano, in Francia, a New
York, in Spagna e in Italia,non si bene a fare che…. al governo per 5 anni e poi
all’opposizione, compreso l’ostracismo perpetrato nei suoi confronti dai mass
media asserviti al potere della partitocrazia.
Interventi
pieni di grossolani strafalcioni, dimostrabili anche da Wikipedia, più attento e
verace di lor signori.
Insomma si è
commemorato Pacciardi, nella sala della Lupa a Montecitorio in Roma, Camera dei
Deputati, e ho sentito Randolfo rigirarsi più volte nella tomba, imbronciato.
L’evento era
epocale, e poteva essere la vera occasione di un mea culpa della casta al
potere.
Non è
successo niente, le idee di Pacciardi, mai tanto valide come oggi, non sono
state portate alla luce, ne dai politici presenti, ne tanto meno da coloro che
non si sono presentati. La cultura, il giornalismo, i militari, che dalle mani
dei politici mangiano se ne guardano bene……………
E la nave
va……nonostante tutto.

Renato
Traquandi
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