18 gennaio 2015
In memoria di Bettino Craxi a quindici anni dalla morte
E' paradossale che – a quindici anni
dalla morte di un grande statista – l'Italia di oggi sia governata
da un piccolo politico autoritario con tanti nei in faccia, amico dei
Poteri Forti, amico dei banchieri e delle élite finanziarie d'Europa
ed Occidente. Un piccolo uomo figlio peraltro dell'incultura
cattocomunista, ovvero della conservazione all'italiana in salsa
berlingueriana.
E' paradossale che, quello che i
comunisti di allora definivano in modo spregiativo “il
Cinghialone”, fosse in realtà l'unico leader riformista e di
sinistra dell'epoca e soprattutto sia stato anche l'ultimo.
Con l'avvento del golpe di Tangentopoli
che – cosa unica nel mondo cosiddetto civile – spazzò via i
partiti di governo per aprire la strada alle destre (sia nere che
rosse) e l'esilio di Bettino Craxi ad Hammamet, infatti, la sinistra
italiana è per sempre morta. E così la democrazia in questo nostro
Paese, sostituita da leggi elettorali incostituzionali ed
autoritarie, come autoritarie sono le misure adottate in particolare
da quest'ultimo governo, che ha fatto strage di disoccupati e
lavoratori.
Del resto Bettino era figlio naturale
di un socialista e fu figlio politico di un socialista che in
gioventù fu persino anarchico e repubblicano, ovvero Pietro Nenni.
La sua, insomma, fu una storia libertaria sin dalle origini. E non fu
un caso se, nel 1976, volendo rompere con la tradizione reazionaria
del movimento operaio, ovvero con la tradizione marxista, parlò di
Proudhon, ideatore del socialismo anarchico; parlò di Garibaldi,
recuperando l'idea del Socialismo Umanitario e Nazionale; perlò di
Carlo e Nello Rosselli, ricollegandosi così alla tradizione
mazziniana del Partito d'Azione.
E, sia prima che durante gli anni del
suo Governo, mai smise di finanziare i Movimenti di Liberazione
Nazionale da quello socialista greco guidato da
Panagulis sino a quello cileno e mai smise di dialogare con le
avanguardie libertarie, con i Radicali, con le avanguardie operaie,
con Lotta Continua, Autonomia Operaia, Democrazia Proletaria ecc...
Cosa che i cattocomunisti, sin dai tempi di Berlinguer, mai vollero
fare, preferendo dialogare con la Democrazia Cristiana, al punto che
i loro eredi, oggi, hanno fondato il Partito Democratico, un
frammisto di moderatismo e conservatorismo che li porta naturalmente
agli antipodi dell'Internazionale Socialista, di cui pur hanno –
indebitamente – fatto parte.
Sarà che da tempo nell'Internazionale
Socialista non ci sono più i Papandreu, i Gonzales, i Mitterand,
ovvero i rappresentanti autentici del socialismo delle origini, oggi
sostituiti dai servi della BCE e del Fondo Monetario Internazionale
quali Hollande e Schulz.
Bettino Craxi, amato dai laici al punto
che il suo approdo voleva essere un grande partito della democrazia
laica, che vedesse uniti socialisti, radicali, verdi, repubblicani,
socialdemocratici e libertari, oltre che amato dalla destra nazionale
che in lui vide il leader in grado di riportare il Made in Italy nel
mondo e ridiede una nuova sovranità all'Italia, senza mandarle a
dire nemmeno agli Stati Uniti d'America (vedi la vicenda di
Sigonella), fu anche l'ideatore della Grande Riforma, ovvero il
rafforzamento del governo in chiave presidenzialista e fu il
principale acerrimo nemico di quei Poteri Forti bancari ed
imprenditoriali che finiranno presto – grazie al golpe di
Tantengopoli - per svendere l'Italia, attraverso indiscriminate
privatizzazioni.
Craxi fu peraltro sempre molto critico
nei confronti del rigoroso Trattato di Maastricht che egli avrebbe
voluto rinegoziare, ovvero nei confronti di un'Europa unita che
avrebbe avvantaggiato unicamente le élite economico-finanziarie a
tutto scapito dei cittadini.
E' aberrante pensare che egli sia morto
da sconfitto e che oggi al potere – quello con la P maiuscola –
ci siano i suoi più acerrimi nemici, ovvero coloro i quali sono
riusciti ad attuare quelle politiche anti-popolari che egli aveva
tentato di contrastare.
Ed è aberrante pensare che costoro,
travestiti da “uomini di sinistra”, si siano rivelati invece i
più reazionari servi della BCE e del FMI.
Noi socialisti senza tessera, né di
destra né di sinistra, noi libertari, noi repubblicani mazziniani e
garibaldini, onoriamo, ad ogni modo, la memoria di questo grande uomo
che – se oggi fosse ancora fra noi – avrebbe fatto grande questa
Patria, da troppo tempo violentanta e vilipesa.
 Luca Bagatin
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10 luglio 2014
Perché tifiamo per le squadre Latinoamericane. Una riflessione socio-politica per l'emancipazione dell'America del Sud e dell'Europa
Francamente di calcio ci
disinteressiamo, purtuttavia questa storia del Mondiale è sulla
bocca di tutti da settimane.
In Italia si fermerebbe anche
l'economia pur di parlare di calcio. E' il trionfo dell'assurdo, ma
tant'è.
Da qualche giorno sentivamo parecchie
persone tifare per l'Olanda. Ora, non ne comprendiamo il motivo. Noi,
diversamente, preferimmo l'Argentina e per ragioni storico-politiche,
che la maggior parte dei profani ignorano, purtroppo.
L'Argentina fu la patria di José de
San Martin (1778 - 1850), il liberatore della sua terra
dall'oppressione spagnola, tanto quanto lo fu Simon Bolivar
(1783 - 1830) nell'America Latina (si pensi ad esempio alla liberazione del
Venezuela, del Perù, della Bolivia, della Colombia e non solo) e
tanto quanto lo fu il nostro Giuseppe Garibaldi (1807 - 1882) sia in America
Latina che in Italia.
L'Argentina è ed è stata una terra
oppressa e sfruttata, come lo furono pressoché tutte le terre
dell'America del Sud, ricche di risorse e depredate da quella che
definiamo l'incultura barbarico-teutonico-anglofona.
E non a caso ci siamo dispiaciuti della
sconfitta calcistica del Brasile contro la Germania. La ricca, la
tronfia Germania guidata dalla burocrate Angela Merkel, negazione del
mito della Donna Selvaggia in quanto donna di mero Potere e di
un'austerità senza sentimento, senza amore, senza umanità.
Il nostro è un discorso
socio-politico, filosofico se vogliamo e che ben poco ha a che vedere
con il calcio, che continuamo a non ritenere affar nostro in quanto
sostenuto da logiche mediatico-pubblicitarie, che di sportivo hanno
ben poco.
Purtuttavia, attraverso il pretesto di
queste partite di fine Mondiale, vogliamo porre l'attenzione sulla
cultura latina che è parte della nostra cultura e che nulla ha da
imparare dalla cultura barbarico-teutonico-anglofona, che ha preso il
sopravvento e depredato gran parte dell'Umanità sin dalla caduta
dell'Impero Romano ai giorni nostri.
Vogliamo porre l'attenzione
sull'America Latina, che necessita di una nuova liberazione sull'onda
non già dei vari dittatori sanguinari che ha conosciuto e che
talvolta - se non spesso - sono stati finanziati dalla CIA, bensì sulla
base dell'esempio e dell'insegnamento di San Martin, di Bolivar, di
Garibaldi.
E vogliamo porre l'attenzione sulla
nostra Europa che non è l'Europa dei Popoli e delle Repubbliche
sorelle che sognavano Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini; non è
l'Europa degli Stati Uniti d'Europa che sognavano Ernesto Rossi,
Eugenio Colorni ed Altiero Spinelli. E' l'Europa della Merkel e di
Van Rompuy. E' l'Europa degli Schulz e dei Matteo Renzi. E' un'Europa
senz'anima e senza fratellanza, che se ne frega dei suoi stessi
cittadini i quali sono considerati solo merci di scambio, meri
individui utili solo a pagare le imposte ed a reggere un sistema
bancario senza via d'uscita, visto che alimentato dal sistema del
signoraggio, ovvero dello stampare moneta a più non posso – senza
alcun collegamento con l'economia reale, ovvero senza tenere conto dei
beni e servizi effettivamente prodotti - e del conseguente debito
pubblico impagabile.
Un sistema destinato unicamente a
sfruttare l'individuo.
La via d'uscita è e sarebbe molto
semplice e la nostra Storia è lì ad indicarcela. Purtuttavia
occorre studiare, tornare alle origini. Capire il rapporto fra Potere, economia
e media e stravolgerlo. Occorre comprendere che la vera democrazia è
finita con l'abbandono dell'Agorà greca, con il trionfo delle
monarchie e con la nascita di regimi dittatoriali (di destra e
sinistra) e/o di pseudo-repubbliche partitocratiche. La vera democrazia è finita con il trionfo dei media e della pubblicità commerciale in luogo della libera scelta dei cittadini.
Occorre sanare le divisioni e
recuperere gli ideali ed i principi della Prima Internazionale dei
Lavoratori del 1864 e costituire la Prima Internazionale dell'Amore e
degli Individui.
Siamo ancora molto lontani, ma, nel
nostro piccolo, cerchiamo di gettare il nostro piccolo seme di
riflessione.
 Luca Bagatin
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24 giugno 2014
Mazzini contro Marx ed il nuovo messaggio di emancipazione sociale proposto da "Amore e Libertà"
 
Oggi nessuno più ci pensa. Tutti presi
dagli smartphone o come cappero si chiamano.
Tutti presi a parlare di crisi, meglio
se se ne parla nei cosiddetti “social”, che di sociale non hanno
proprio nulla.
Di sociale, in effetti, su un piano
pragmatico e serio parlavano quelli della Prima Internazionale dei
Lavoratori, fondata nel 1864 e che vedeva uniti socialisti, anarchici
e repubblicani.
Ovvero vedeva uniti i seguaci di Karl
Marx, di Michail Bakunin e di Giuseppe Mazzini.
Tre correnti diversissime fra loro ma
unite dall'ideale di emancipazione sociale.
Nella fattispecie le due correnti
maggiormente contrapposte erano quelle dei mazziniani e dei marxisti,
specie in Italia.
Giuseppe Mazzini guardava alla
democrazia, alla repubblica, all'unione fra capitale e lavoro.
Karl Marx e Friedrich Engels, invece,
guardavano al socialismo scientifico (non già umanitario), alla
socializzazione dei mezzi di produzione, alla lotta di classe.
Mazzini scrisse, non a caso -
contrapponendosi al “Manifesto del Partito Comunista” del 1848 -
i “Discorsi sulla democrazia in Europa”. Egli non credeva alla
“società dei castori” - come amava ricordare - propugnata dai
marxisti. Egli guardava alla democrazia, all'umanità.
Mazzini, molto più di Marx, guardava
ad un sentimento come l'Amore. Un Amore quasi religioso, anche verso
Dio, oltre che verso il Popolo.
Marx, diversamente, era un filosofo, un
economista, un materialista e, per quanto corrette potessero essere
le sue analisi, ciò che mancava a Marx era una visione sentimentale
e spirituale, oltre che umanista della Storia, in luogo di una
visione meramente scientifica ed economicistica.
Non si può governare senza amore,
anche se la maggioranza dei governi si fonda sulla mancanza d'amore.
Mazzini lo sapeva, Marx lo ignorava.
Garibaldi lo sapeva, Engels lo
ignorava.
Mazzini e Garibaldi erano due teosofi.
Conoscevano Madame Blavatsky e la stimavano. Addirittura la
arruolarono nelle loro fila.
Giuseppe Garibaldi, addirittura, prima
di definirsi repubblicano, era socialista sansimoniano, ovvero aveva
una visione cristiana di quel tipo di socialismo – diffuso da Henri
de Saint-Simon - che mirava alla diffusione dell'amore per il
prossimo.
Non è un caso che, la prima
rivoluzione nonviolenta e dell'amore sia stata attuata da Gandhi in
India, nel Novecento, il quale si ispirò a Mazzini ed ai suoi
“Doveri dell'uomo”.
Marx, diversamente, di strada ne aveva
da percorrere per comprendere che la rivoluzione andava fatta prima
di tutto all'interno dell'animo umano. E la vera rivoluzione è prima
di tutto evoluzione dell'anima, non già lotta fra classi, conflitto,
ma unità nella diversità.
Mazzini, nel 1853, fondò ad ogni modo
il Partito d'Azione. Un partito di attivisti, non già un partito di
potere. La medesima cosa faranno Marx ed Engels, teorici del Partito
Comunista che, alla fine dell'Ottocento, ispirerà i primi partiti
socialdemocratici d'Europa (non ancora comunisti, si badi bene !).
Mazzini ispirerà il Partito
Repubblicano del 1895 e, successivamente, durante il fascismo, le
brigate partigiane antifasciste Giustizia e Libertà ed il successivo
Partito d'Azione che ben presto si dividerà in sostenitori del
Partito Radicale di Mario Pannunzio e del Partito Repubblicano
Italiano di Ugo La Malfa. Giuseppe Garibaldi, invece, ispirerà prima
il Partito Socialista Italiano dal 1948 (compresa la breve parentesi
frontista) sino alla morte di Bettino Craxi, oltre che ispirerà il
piccolo Partito dell'Amore di Moana Pozzi, fondato nel 1991 con
intenti tutt'altro che goliardici e gaudenti e tutt'ora presente nel
panorama politico – per quanto non si presenti più alle elezioni
politiche – e oggi guidato da Mauro Biuzzi.
Purtuttavia Mazzini (e men che meno
Garibaldi) mai aveva in mente di fondare un mero partito per la
gestione del potere !
Egli parlava agli operai d'amore e di
spiritualità. Di Repubblica, ma non della Repubblica dei Partiti,
bensì della Repubblica del Cuore. La stessa cosa faceva Giuseppe
Garibaldi, assieme alla moglie Anita, la prima eroina della Storia
moderna a morire – in terra a lei straniera - a soli 28 anni, per
la Repubblica Romana. La stessa cosa peraltro aveva fatto Simon
Bolivar in Venezuela, nei primi anni dell'Ottocento.
Ecco il grande sogno repubblicano e
socialista umanitario e libertario, non marxista.
Ecco il grande sogno che anima anche
noi di “Amore e Libertà” (www.amoreeliberta.altervista.org) e che propugnamo la Civiltà dell'Amore
in luogo della sociatà del piacere, dei media, del danaro e del
potere.
Il limite di coloro i quali, nel corso
della Storia, non hanno saputo cogliere il messaggio di Mazzini e Garibaldi ed hanno preferito rivolgersi a Marx, è evidente. Anteporre l'economia al sentimento finisce per
rendere la società schiava di una lotta fra classi infinita.
Anteporre l'economia al sentimento ed
all'umanità significa ancora seguitare a dare credito al sistema
monetario internazionale, al sistema politico dei governi e dei
parlamenti, al sistema delle tasse e delle imposte che ingrassa
solamente il sistema politico (senza garantire alcun effettivo
servizio), al sistema della pubblicità e di un mercato delle vacche
che ha reso gli individui merci di scambio, invece che persone
affratellate, che potrebbero vivere felici del loro lavoro,
cooperando, barattando beni e servizi, approfondendo lo studio delle
scienze umane, alla ricerca di nuove tecnologie non già da
commerciare, bensì da condividere, senza costi per nessuno.
Giuseppe Mazzini, a differenza di Marx,
parlò per primo, nell'ambito della Prima Internazionale dei
Lavoratori, di interlcassismo. Ma l'interclassismo è niente senza la
cooperazione e alla base di questa o vi è libertà ed emancipazione
ed amore fraterno che unisce gli individui oppure non vi è nulla.
Vi è barbarie. Vi è prevaricazione.
Vi è potere, danaro, mercificazione.
Questo il messaggio del nostro
movimento (anti)politico “Amore e Libertà”, che non è un partito politico nel
senso classico, bensì è un partito nel senso ottocentesco del
termine. E' una tendenza politica o, meglio (anti)politica, come lo era il Partito d'Azione di
Mazzini, che si contrapponeva alla realpolitik delle monarchie-oligarchie europee. Non vuole gestire il potere, ma far capire agli individui
che è possibile vivere senza di esso. Che è possibile, forse,
vivere anche senza danaro, senza rapporti mercificatori, se si
permette ai rapporti umani – ovvero all'Amore - di trionfare.
Ciò può sembrare un discorso
utopistico ma non lo è. Non diciamo nulla di nuovo, visto che ciò
che diciamo lo dicevano Mazzini, Garibaldi, D'Annunzio dell'impresa
di Fiume, Gandhi e prima di loro lo diceva Cristo, Buddha e tutti i
Grandi Iniziati del passato.
La chiave dell'alternativa repubblicana
e socialista libertaria è l'Amore, non il potere o, meglio, la
gestione dello stesso. E' l'autogestione, la condivisione.
Chissà se ci arriveremo mai. La strada
è lunga, ma io credo che questa crisi, che prima di tutto è
umana-umanitaria, ci sta già costringendo a fare i conti con il
nostro presente e quindi con il nostro passato.
 Luca Bagatin
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13 gennaio 2014
Bettino Craxi: colui il quale rese protagonista il Socialismo liberale in Italia
Sono passati quattordici anni da quando
Bettino Craxi lasciò questa terra.
Uno statista a cui furono negati i
funerali di Stato. Uno statista bollato come “criminale
matricolato”.
Uno statista che, ad ogni modo, non
ebbe bisogno di alcuna riabilitazione postuma, giacché la sua storia
politica e personale vinsero su tutto il resto.
Il Socialismo liberale rilanciato da
Bettino Craxi dal 1976 in avanti, ovvero il recupero della tradizione
dei Filippo Turati e dei fratelli Carlo e Nello Rosselli - con punte
di garibaldinismo e di mazzinianesimo repubblicano - hanno trionfato
già alla fine degli Anni '80 in tutto il mondo.
Fu quel Socialismo, inviso alla
tradizione cattolica, comunista e fascista italiana che rese Bettino
Craxi il nemico numero uno, da battere e combattere con ogni mezzo.
E fu un peccato proprio perché, con la
fine politica e personale di Bettino Craxi, in Italia morirà anche
la Sinistra.
Un interessante saggio a cura di Andrea
Spiri e edito da Marsilio alcuni anni fa, dal titolo “Bettino
Craxi, il riformismo e la sinistra italiana”, il quale raccoglie
numerosi interventi di studiosi ed autorevoli esponenti socialisti,
ripercorre un po' il rapporto fra il Psi di Craxi ed il Partito
Comunista Italiano. Un rapporto duro ma franco, almeno da parte di
Craxi, il quale, con a caduta del Muro di Berlino propone ai
comunisti di entrare nel Psi e di costituire un grande partito di
sinistra di Unità Socialista. Fu un'illusione durata poco, in quanto
i comunisti, sin dal 1948 e con sempre maggiore vigore negli Anni '70
– '80 e '90, cercheranno un rapporto privilegiato unicamente con il
mondo cattolico e conservatore. Non sarà un caso se, proprio la
caduta del sistema dei partiti democratici in Italia, porterà alla
nascita di due grandi comitati d'affari che, solo nominalmente, si
schiereranno uno a destra (il Polo berlusconiano in salsa
fascio-leghista) e l'altro a sinistra (il carrozzone cattocomunista).
A Bettino Craxi sarà attribuito di
tutto e di più, proprio a lui che, nel 1993 affermerà candidamente
che il sistema di finanziamento pubblico illegale ai partiti era un
sistema che tutti conoscevano e ne facevano uso ed abuso. Fece
comodo, allora, anche nel suo stesso Psi fare gli gnorri e attribuire
a lui ed unicamente a lui tutte le colpe.
Ma, andiamo con ordine. Chi fu Bettino
Craxi ?
Figlio di un avvocato socialista,
antifascista della prima ora, Craxi respirerà sin da ragazzo l'aria
riformista di Milano, che lo porterà presto a ricoprire importanti
incarichi di Assessore al Comune e, via via, importanti incarichi
nella Direzione Nazionale del Psi.
Nel 1976, socialista autonomista
sostenuto dal Padre della Nazione Pietro Nenni riuscì, grazie
all'appoggio della sinistra socialista di Claudio Signorile, a farsi
eleggere Segretario nazionale del partito. Un partito, quello
socialista, che Craxi saprà rinnovare culturalmente, politicamente e
sotto il profilo dell'immagine. Il Psi craxiano diventerà finalmente
un partito moderno, liberale, libertario, nazionale, interclassista.
Aperto al mercato ed al mondo del lavoro in un'Italia che stava
rapidamente mutando.
Il Psi di Craxi sarà sì
anticomunista, ma farà di tutto per “socialdemocratizzare” i
comunisti. Purtuttavia non riuscendovi mai.
Aspre furono le lotte “a sinistra”,
ma la Storia diede ragione ai socialisti e torto ai comunisti: con
l'abbattimento della scala mobile, voluto da Craxi, infatti,
l'inflazione scenderà vertiginosamente e chi ricorda gli Anni '80
craxiani li ricorda come una nuova età dell'oro sotto il profilo
economico e sociale.
Inoltre Craxi, pur perseguendo una
politica atlantista, fu amico e sostenitore, anche finanziario, di
tutti i movimenti di liberazione da quello socialista greco guidato
da Panagulis sino a quello cileno. In questo senso recuperò,
coscientemente, lo spirito internazionalista incarnato da Giuseppe
Garibaldi, che fu l'eroe al quale si ispirò per tutta la vita,
possedendone anche numerosi cimeli.
Interessante e profondo fu poi il
rapporto fra il Psi di Craxi ed il Partito Radicale di Marco
Pannella, che li vide uniti in battaglie come il divorzio, l'aborto,
il voto ai diciottenni, la separazione delle carriere dei magistrati
e la responsabilità civile dei giudici. Rapporto che, negli Anni
'80, portò anche ad una lista comune che vide uniti, in alcuni
collegi senatoriali, il Psi, il Psdi ed il Partito Radicale.
Purtuttavia, pur essendovi allora le
condizioni per la nascita di una terza forza laico-radicalsocialista
(come accadde qualche tempo prima in Francia, con Mitterand), tutto
sfumò ben presto a causa della diffidenza craxiana nei confronti di
Pannella da una parte e dalle strategie pannelliane, che a tutto
tendevano tranne che a creare una terza forza laica.
Fu un vero peccato perché in questo
modo il 25% dell'elettorato laico divenne, ben presto, via via
ininfluente, finendo per favorire i due conservatorismi, quello
cattolico e quello comunista che, dal 1994, finirono per prendere il
sopravvento assieme ai neofascisti ed ai leghisti, sdoganati da
Berlusconi.
E' improprio dire che Berlusconi fu
l'erede di Craxi. E ciò per molte ragioni. E' vero che Berlusconi
gli fu amico, ma è altrettanto vero che i due avevano idee e
prospettive politiche molto distanti, se non diametralmente opposte.
Se Craxi da una parte vedeva Berlusconi
come un innovatore in ambito televisivo, da contrapporre al monopolio
lottizzato e partitocratico della Rai, dall'altra Berlusconi utilizzò
Craxi unicamente per il proprio tornaconto personale.
Purtuttavia va notato che, allorquanto
i partiti democratici e laici della Prima Repubblica scomparvero,
uccisi dalla mannaia giustizialista del biennio 1992-1993, gli
elettori socialisti preferirono in massa il Polo berlusconiano
rispetto a quello cattocomunista.
E non fu un caso, peraltro, che
intellettuali marxisti (poi su posizioni socialiste liberali) come
Lucio Colletti, aderissero e diventassero deputati della “prima
edizione” di Forza Italia.
Allora Forza Italia, almeno a parole,
portava avanti un programma di riforme liberali e laiche che
coagularono presto attorno ad essa energie liberalsocialiste e
repubblicane. Ma fu un breve idillio, al punto che il Polo
berlusconiano, alleato ai neofascisti, ai leghisti ed ai
democristian-clericali, divenne ben presto il polo dell'inciucio con
i cattocomunisti ed il ricettacolo del peggior conservatorismo
italiano che ha portato l'Italia all'attuale declino.
Purtroppo molti furono coloro i quali,
prima fedeli craxiani, divennero poi fedeli berlusconiani. Più per
tornaconto personale e per incapacità di prospettiva politica che
per altro.
Bettino Craxi, dunque, fu tradito da
più parti: dai postcomunisti con i quali pur cercò un'intesa; dai
social-opportunisti che albergavano nelle sue stesse fila e che
trovarono presto casa chi nel carro cattocomunista chi in quello
berlusconiano, molti dei quali persino al governo con Berlusconi ed
infine fu tradito da quell'elettorato che - però qui forse a ragione
- non gli perdonava di essersi arroccato su posizioni di potere
vicine - se non contigue - a quelle di Forlani e Andreotti.
E' un fatto, ad ogni modo, che quella
stagione storica, ovvero quella di un Partito Socialista protagonista
della scena politica italiana e mondiale, è terminata per sempre.
 Luca Bagatin
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16 settembre 2013
XX Settembre, festa di laicità, libertà, concordia. Uccisa dal fascismo e dalla partitocrazia.
Il 20 settembre è una giornata di festa. Una festa purtroppo abolita e dimenticata, dal Fascismo prima e della Repubblica partitocratica poi. La
vera festa dell'Unità d'Italia in quanto il 20 settembre del 1870
l'Italia, con la conquista di Roma da parte dei Bersaglieri e la
deposizione del potere temporale dei papi, divenne, finalmente,
davvero unita. Una giornata
di concordia fra le ideologie politiche democratiche - repubblicane
mazziniane, socialiste, garibaldine, monarchiche - e le sensibilità
spirituali, siano e fossero esse cattolico democratiche, ebraiche o
massoniche. Una giornata che
permise agli italiani di essere davvero, per una volta, fratelli. Una
giornata che il più grande Sindaco di Roma, ovvero Ernesto Nathan,
soleva ricordare con un grande discorso a Porta Pia, dai profondi
contenuti laici e spirituali al contempo. Una
giornata - il 20 settembre - purtuttavia invisa ai clericali ed ai
fascisti e, nel dopoguerra, invisa ai comunisti - allora a braccetto
ideologico con clericali e missini - ed ai democristiani che, non a
caso, introdussero - per far piacere al Vaticano - in Costituzione, i
fascistissimi Patti Lateranensi. E'
così che oggi, il 20 settembre, è una festa non ricordata, caduta in
disuso, disprezzata da quella Repubblica Monarchica dei Partiti che nel
1948 tradì gli ideali di Mazzini, Garibaldi e Cavour e consegnò il Paese
nelle mani dei nuovi barbari che si spartirono in Potere. Dc e Pci in
testa, pur contrastati da qualche laico intransigente che, in cuor suo,
non aveva dimenticato la lezione del Partito d'Azione, unico partito
italiano a non essere mai sceso a patti con nessuno ed aver
coerentemente portato avanti ideali di laicità e libertà. Oggi,
solo la Massoneria italiana nelle sue varie Obbedienze, il Partito
Radicale e le associazioni mazziniane e garibaldine, rammentano ancora
il 20 settembre con manifestazioni pubbliche a Porta Pia. Eppure senza
il 20 settembre l'Italia non sarebbe diventata un Paese laico, civile,
liberale e l'istruzione pubblica non sarebbe mai stata gratuita ed
estesa a tutti, ma esisterebbero ancora profondissime disparità fra
classi sociali.
La
Storia, ad ogni modo, l'hanno riscritta altri, ovvero gli eredi delle
dittature rosse e nere, oltre che i nuovi barbari eredi di Berlinguer,
Berlusconi, Bossi e Grillo che, se non ci fosse stata la falsa
rivoluzione di Tangentopoli, oggi, sarebbero a vendere patate al
mercato. Il
20 di settembre di quest'anno scadrà il termine di presentazione dei
dodici referendum Radicali. Referendum che vorrebbero abolire il
finanziamento pubblico ai partiti, il sistema perverso dell'8 per mille,
l'ergastolo, per separare le carriere dei magistrati ed altri, tutti
molto interessanti, come sempre sono le proposte dei Radicali. E'
difficile prevedere se le firme necessarie saranno tutte raccolte, per
quanto ce lo auguriamo. Purtuttavia, anche se i quesiti passassero con
dodici SI' a maggioranza, siamo certi che questo o il prossimo
Parlamento - composto dalla stessa partitocrazia che ha ucciso ogni
spirito liberale degli ultimi 150 anni - non li disattenderebbero ? Abbiamo
stima di Marco Pannella, ma vogliamo anche ricordare che "questi"
Parlamenti con "questi" partiti, sono quelli che gli anno negato
il voto come Presidente della Repubblica e lo hanno negato anche ad Emma
Bonino. E'
facile, molto facile, firmare dei quesiti referendari come ha fatto
Berlusconi (ma ve lo ricordate quando egli definì "comunisti" i
referendum liberisti dei radicali del 1999 ? Sic !). Molto più difficile
è sostenere battaglie liberali e civili in Parlamento. E "questi"
partiti, mandanti della scomparsa del 20 settembre quale Festività Nazionale, di civile e liberale non hanno proprio nulla.  Luca Bagatin
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8 febbraio 2013
Lo spirito della Repubblica Romana e FARE per Fermare il Declino
Appare scontato, anche se non dovrebbe esserlo. Che cosa appare scontato ? Che
nessuno, o quasi, sappia che cosa sia accaduto il 9 febbraio del 1849.
Che questa data passi, da sempre, sotto il più totale silenzio. Che
nessuno dica che il 9 febbraio 1849, per la prima volta nella Storia
d'Italia, entrò in vigore una Costituzione civile, democratica e
liberale, molto più liberale dell'attuale Costituzione della Repubblica
dei partiti e dei loro lacchè, fondata nel 1948. Il 9 febbraio 1849 fu proclamata, a Roma, la Repubblica Romana. Voluta da Giuseppe Mazzini e da
Giuseppe Garibaldi, fondata su principi di laicità, libertà e moralità. Principi
che l'Italia post-risorgimentale, fascista e postfascista (e mai
autenticamente antifascista) ha del tutto dimenticato e
disconosciuto. Oggi negli Stati Uniti d'America, in Inghilterra ed
in Francia si parla di matrimonio omosessuale, così come ieri si parlava
di eutanasia e di suicidio assistito; di ricerca scientifica; di
opportunità di lavoro per i giovani cervelli e si garantiva ciò. Ciò che
il nostro Paese incivile, partitocratico, socialista in favore dei più
forti e fascista nei confronti dei più deboli, non ha mai nemmeno voluto
sentir nominare. Da noi Mario Monti incassa l'appoggio del Vaticano
che, a sua volta, trova la sua sponda nel Pd di Bersani e nel PdL di
Berlusconi. Ovviamente, in tutto ciò, nessuno ricorda quei giovani
combattenti della Repubblica Romana, i quali si batterono contro il
Vaticano (e non già contro il cristianesimo o contro il cattolicesimo,
tutt'altro !) per garantire che la libertà dei singoli fosse a garanzia
della libertà di tutto il popolo. "Dio e Popolo", non a caso, era il motto di Giuseppe Mazzini. Un Dio al di
sopra dei dogmi papali ed al di sopra delle beghe del Potere di ieri e di oggi. La
Repubblica Romana, pur nella sua breve esistenza, dimostrò come con la
forza del popolo sovrano, civile e democratico, possano nascere leggi
giuste. Ovvero l'esatto opposto di quanto accaduto con l'avvento degli
autocrati e dei partitocrati senza principi. Oggi noi ricordiamo la
Repubblica Romana del 9 febbraio 1849, ma pensiamo al 24 febbraio 2013,
ove nessuno più parla di diritti civili e di garanzie democratiche. Pensiamo
che varrebbe la pena disertare le urne, se non fosse che almeno una
personalità, fra le tante mezze calze, ancora a quei principi crede e
con quei principi si è sempre presentata. Stiamo parlando di Oscar
Giannino, liberale e repubblicano della prima ora che non a caso ha
voluto mettere in piedi un'operazione de-ideologizzata per FARE per
fermare il declino del Paese. Ovvero non per "chiacchierare a tarallucci
e vino", magari spartendosi
e lottizzandosi le poltrone e/o i sottogoverni. Ecco quindi che il
ricordo della Repubblica Romana potrebbe tornare vivo ed attivo proprio grazie a Giannino ed a FARE per Fermare il Declino, ed in
questo senso è necessario che ci si attivi. Che ci si attivi contro l'imperversare dei
Bersani-Berlusconi-Monti, il cui ritorno è terribilmente di nuovo dietro l'angolo. Ed il Paese, che ha
già purtroppo conosciuto i Pio IX, i Mussolini, i Togliatti, i Fanfani, i
Berlinguer, gli Andreotti ed i De Mita, non può davvero più
permetterselo.
 Luca Bagatin
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2 giugno 2011
"Randolfo Pacciardi": una raccolta di scritti curata da Renato Traquandi
 
Randolfo Pacciardi fu il più
combattivo fra i repubblicani italiani. Nato nel 1899 a Giuncarico
(Grosseto), Pacciardi, fu massone, mazziniano ed antifascista della
primissima ora. Fu eroico combattente e condottiero della Brigata
Garibaldi nella Guerra di Spagna contro il regime franchista e
proseguì poi l'attività antifascista all'estero. Guidò
il PRI nel primo dopoguerra e fu Ministro della Difesa dal 1948 al
1953 nei governi centristi (DC, PSDI, PRI, PLI) presieduti da De
Gasperi. Si oppose alla formula di Centro-Sinistra e quindi ad Ugo La
Malfa che purtroppo lo espulse dal partito negli anni '60. Celebre
la frase di Pacciardi quando gli si chiedeva il motivo per il quale
egli preferiva i governi centristi con la DC, piuttosto che
un'alternativa di sinistra con il PCI : "Meglio una messa al
giorno piuttosto che una messa al muro". Una volta espulso
dal PRI, Pacciardi fondò il movimento politico Unione Democratica
per la Nuova Repubblica, con posizioni schiettamente presidenzialiste
e forse per questo fu sospettato ingiustamente di simpatia fasciste e
golpiste (proprio lui che aveva combattuto il nazifascismo !) e di
aver appoggiato il cosiddetto Piano Solo che avrebbe dovuto portare
ad una svolta autoritaria nel nostro Paese. Niente di più falso e
vergognoso fu detto su di un personaggio al quale la Repubblica e la
democrazia italiana devono moltissimo. Randolfo Pacciardi fu
riammesso nel PRI negli anni '80 e Repubblicano rimase sino alla
morte. Questa, in estrema sintesi, la vita politica di Randolfo
Pacciardi, ma, perché mai si è voluto cancellarne la memoria
storica ? Basta leggere la sua vita, per comprendelo, infondo. E
basta leggere l'unico libro a lui dedicato, pubblicato proprio
quest'anno da Albatros e curato dall'amico repubblicano Renato
Traquandi, che fu per lungo tempo collaboratore di
Pacciardi. "Randolfo Pacciardi" è infatti l'unica
raccolta di scritti, discorsi ed articoli del Nostro, che parlano nel
concreto della sua attività politica: una vita basata sugli ideali
di emancipazione sociale propugnati da Giuseppe Mazzini, ovvero in
totale concorrenza – a sinistra - con i socialisti, i quali, a
parere di Pacciardi, inseguivano le masse, ma raramente pensavano ai
problemi della collettività. Fu per questo che Pacciardi avversò
sempre la formula dei governi di Centro-Sinistra, nei quali i
socialisti facevano il bello ed il cattivo tempo, pensavano ad
accaparrarsi posti di potere, strizzavano l'occhio ai comunisti ed
all'Unione Sovietica ed aumentavano burocrazia e tasse. Nel libro
curato da Traquandi vi è questo e molto altro: vi è l'epopea del
giornale repubblicano fondato da Pacciardi "Etruria Nuova",
quello di "Nuova Repubblica" e, per finire, il periodico
“L'Italia del Popolo”. Si potrà dunque scoprire che Randolfo
Pacciardi fu il primo politico – peraltro totalmente isolato –
che si battè contro la dilagante partitocrazia ed il sistema delle
tangenti che egli, già alla metà degli anni '60, denunciò:
inascoltato da tutti, persino da una magistratura che pensava ad
insabbiare...piuttosto che ad indagare (mentre negli anni '90
utilizzò la clava giudiziaria per colpire solo una parte – quella
democratica ed occidentale – della classe politica). Pacciardi
nella lotta al potere dei partiti giunse dunque decenni prima dei
radicali di Pannella che, chissà perché, lo ignorarono
totalmente. E Pacciardi arrivò prima persino di Bettino Craxi,
proponendo, nei primi anni '70, una Grande Riforma di stampo
presidenziale: Presidente della Repubblica con funzioni di governo
eletto direttamente dal popolo e Parlamento - con funzioni di organo
legislativo - eletto su base proporzionale. Nonchè magistratura con
carriere separate ed intipendente dal potere politico ed eletta dal
popolo. Tutto questo gli causò, purtuttavia, solamente grane:
espulsione dal PRI di Ugo La Malfa ed accusa di cospirazione politica
da parte del magistrato comunista Luciano Violante. Accusa che
finì con un nulla di fatto, visto che nè Pacciardi nè Edgardo
Sogno, suo amico liberale, volevano realizzare un golpe, bensì
propugnavano una Repubblica presidenziale, ove i partiti non fossero
comitati d'affari, ma tornassero alla loro funzione
rappresentativa. Ovviamente ciò dava fastidio alla sinistra
comunista, ai socialisti ante-Craxi - amici dei comunisti - ed al
centro democristiano in particolare la corrente di sinistra, che, con
Moro e Fanfani, aveva fatto del Potere la sua arte. Renato
Traquandi con il suo "Ranfolfo Pacciardi" colma dunque una
lacuna nel panorama politico dell'Italia repubblicana e del Partito
Repubblicano Italiano. Racconta - per mezzo dei suoi stessi
scritti - le vicissitudini di un combattente antifascista,
anticomunista ed antipartitocratico che morì nel 1991 senza alcun
rimpianto ed in piena onestà intellettuale e morale. 
Luca Bagatin
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15 marzo 2011
Italia Unita, Risorgimento, Laicità: rilanciamo la nostra identità e cultura
 "....tutt'altra Italia io sognava nella mia vita, non questa, miserabile
all'interno ed umiliata all'estero ed in preda alla parte peggiore
della nazione. E non vorrei che il mio silenzio s'interpretasse siccome
un affermazione dell'inqualificabile contegno degli uomini che
"sgovernano" il nostro paese....."
Giuseppe Garibaldi Caprera, 24 Settembre 1880 L'Unità d'Italia fu conseguita per mezzo di tre importanti personaggi
storici di matrice laica: Giuseppe Mazzini, la mente; Giuseppe
Garibaldi, il combattente; Camillo Benso conte di Cavour, il
politico.
L'Unità d'Italia vide, per la prima volta nella Storia, la
collaborazione - spesso involontaria - di repubblicani e monarchici, di massoni e uomini di chiesa, di
liberali, repubblicani e socialisti umanitari. La collaborazione di
borghesi, nobili illuminati e persino operai scolarizzati.
L'Italia, si sa, è un Paese di fratricidi che ama più dividersi che
unirsi. Sarà per questo che il Risorgimento e l'Unità d'Italia sono
sempre stati così invisi tanto nella sinistra di matrice marxista (che
non ha mai tollerato la cultura laica e liberaldemocratica), tanto nella
destra fascista (che, dopo i Patti Lateranensi, non ha mai tollerato
l'anticlericalismo e l'idea di Patria in senso mazziniano e garibaldino,
ovvero come comunità di liberi ed eguali). Non ne parliamo poi del
centro cattolico, che non ha mai tollerato l'affermazione dei principi
massonici propugnati dal Risorgimento di Libertà, Eguaglianza e
Fratellanza al di sopra di qualsiasi fede religiosa.
L'Italia fu unita, ma, dopo il fascismo, ci penserà la cultura clericale
e comunista a disfare le conquiste dei Padri del Risorgimento. Pensiamo
ad esempio all'inserimento - con l'Articolo 7 - dei fascistissimi
Patti Lateranensi nella Costituzione della Repubblica italiana.
Il divorzio, grande lotta emancipatoria dei partiti risorgimentali, sarà
ottenuto in Italia negli anni '70 del '900, ma con grandissima fatica e
per mezzo dei piccoli partiti laici: PR, PRI, PSI, PSDI E PLI.
Una volta spazzati via con la falsa rivoluzione di matrice
clericofascista e cattocomunista di Tangentopoli, ecco spazzate via
nuovamente le conquiste dei laici e dei risorgimentali (è a rischio la legge sull'aborto e, quella sul testamento biologico che si sta discutendo in questo periodo, è la più inumana possibile).
Ed ecco tornare al potere forze eversive, senza storia nè cultura: Pd,
PdL, Lega Nord e tutti i loro alleati di ispirazione clericofascista e
cattocomunista. I Ber-sani, Ber-lusconi, Ber-tinotti, venditori di fumo vendoliani eredi di Ber-linguer (quello che, dicevano, con il comunismo non c'entrava un fico, ma intanto i rubli da Mosca li prendeva), che ancor oggi vogliono darcela a bere.
Ed ecco - alla vigilia del 17 marzo finalmente proclamata Festa
Nazionale - un Bersani che si mette a fare pastette con la Lega Nord per
un federalismo pasticcione ed anti-Risorgimentale.
Massì, tanto il già comunista Massimo D'Alema definì in tempi non
sospetti la Lega come una "costola della sinistra". Sinistra sì, ma di
ispirazione marxista, antidemocratica, antioccidentale ed
antirisorgimentale.
Eccoli ancora una volta riuniti, gli eredi del dossettismo capaci di
venire a patti persino con i baluba del nord.
Lo spirito mazziniano, garibaldino e cavouriano, ad ogni modo, non
credano costoro che sia morto: Insorgere e Risorgere era il motto degli
Azionisti eredi di Mazzini e dei Rosselli.
Mandiamoli a casa una volta per sempre ! Siano essi al governo o
all'opposizione. Viva la Terza Italia e la Nuova Repubblica che sognò Randolfo Pacciardi !

Luca Bagatin
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19 gennaio 2011
Bettino Craxi: uno statista
Bettino Craxi fu colui il quale riuscì nella difficile impresa di
rinnovare e democratizzare il Socialismo italiano, trasformando un
piccolo partito filo-marxista in un moderno partito liberalsocialista: oltre
la destra e la sinistra classiche.
Bettino Craxi, erede politico ed estimatore degli ideali risorgimentali e
di emancipazione di Garibaldi e Mazzini, intuì che, per governare,
occorreva sì scendere "a patti con "il diavolo", ovvero con la Democrazia
Cristiana, ma in chiave autonomista e spesso conflittuale con essa.
Egli seppe rompere il patto di ferro che si stava preparando fra
comunisti e democristiani negli anni '70, proponendo all'Italia un'alternativa di
sinistra liberale alla conservazione.
Ebbe l'intuizione, sull'onda degli ideali del liberale Edgardo Sogno e
del repubblicano Randolfo Pacciardi, di una Grande Riforma dello Stato,
capace di modernizzare e sburocratizzare l'Italia. Propose il
Presidenzialismo e la riforma della giustizia in senso garantista e per
ciò ricevette l'opposizione dura di comunisti, democristiani,
postfascisti e Poteri Forti.
La sua morte politica, nel 1993, coincise con la morte della democrazia in Italia.
La sua morte fisica, il 19 gennaio del 2000, avvenuta in esilio ad
Hammamet, ci ricorda che solo gli uomini liberi hanno il coraggio delle
proprie idee sino in fondo.

Luca Bagatin
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13 aprile 2010
Le riforme liberali di cui l'Italia avrebbe bisogno
Si fa un gran parlare - in questo periodo post-elezioni regionali - di
riforme istituzionali come ad esempio l'introduzione di un nuovo sistema
elettorale che preveda il semipresidenzialismo alla francese. Verrebbe
da chiedersi che senso abbia. O, meglio, avrebbe sicuramente senso
cambiare il sistema elettorale, ma di certo il "semipresidenzialismo
alla francese" non risolverebbe alcun problema. Il sistema elettorale
andrebbe innanzitutto cambiato, ma per garantire la massima
rappresentanza elettorale. In particolare di quell'elettorato che -
al 40 % - oggi si astiene. Rappresentanza che, da quando sono stati
introdotti antidemocratici sbarramenti e sono state negate le preferenze, è di fatto non più garantita in alcuna competizione
elettorale. In secondo luogo le riforme di cui si dovrebbe
parlare sono ben altre. Le riassumerò qui. Per tentare di uscire
un tantino dalla crisi nella quale anche l'Italia è inesorabilmente
incappata, occorrerebbe
liberalizzare il mercato del lavoro da una parte e fornire congrui
ammortizzatori sociali a chi un lavoro non ce l’ha. Seguendo però il
modello della Gran Bretagna e non quello dell’assistenzialista Svezia. Le
piccole e medie imprese dovrebbero essere le prime ad essere favorite
(e non già la grande industria), arrivando finalmente a proporre una
radicale riforma fiscale che preveda l’aliquota unica al 20 % per
tutti. Stop ad altre imposte, dunque.
E i lavoratori potrebbero essere aiutati abolendo una volta per tutte le
trattenute in
busta paga.
Via Irap e Irpef, ordunque: aliquota unica per tutti e innalzamento
della no tax
area.
Ciò, ovviamente, comporterebbe una drastica riduzione della spesa
pubblica a partire dal
taglio immediato di enti inutli quali le Province, i consorzi e le
comunità montale e l'accorpamento dei
Comuni.
E si dovrebbe pensare anche ad una riforma delle pensioni che preveda un
sistema a
capitalizzazione.
Veniamo poi alla giustizia. E' necessario separare le carriere dei
magistrati e
stabilire che, quando un giudice sbaglia, paga di tasca sua e non deve
essere la
collettività a dover risarcire per le colpe dello stesso. Ciò avviene
in tutti i Paesi civili e democratici, non si comprende perché in
Italia le cose vadano diversamente.
Sui diritti civili, poi, si comprenda, una volta per tutte, che la vita
appartiene al singolo: che può decidere di vivere o meno, a sua
discrezione.
Lo Stato non è una “balia-mamma” che ha la potestà sui suoi cittadini,
come crede certo confessionalismo di casa nostra. L'anticlericalismo,
dunque, a destra come a sinistra, non dovrebbe essere visto come un
qualche cosa di "ideologico", ma sinonimo di
laicità, democrazia e libertà contro la prevaricazione di chi ritiene
che la sua
fede o il suo “dio” possano essere anteposti alle leggi di uno Stato
laico, liberale e dunque leggero. Le vere riforme di cui questo Paese avrebbe dunque bisogno sono
inevitabilmente estreme, ma non estremiste. Riforme moderate in
quanto liberali, ma estreme in quanto necessarie a rivoltare "la casta"
come un calzino per garantire finalmente chi non è mai stato garantito e
per togliere - una volta per tutte - i privilegi di coloro i quali si
riempiono la bocca di "riforme" inutili o mai attuate sulla carta.
 Luca Bagatin
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