18 gennaio 2010
"Prendimi l'anima": un film sulla storia d'amore fra Sabina Spielrein e Carl Gustav Jung
Che cos'è l'anima, che cos'è la psiche ?
Può l'anima nei suoi risvolti più profondi, spirituali ed interiori, essere in profonda comunicazione con la psiche ?
Che cos'è l'amore ?
Amore e Psiche, gli eterni amanti descritti da Apuleio e raffigurati
dal Canova in un'allegoria che racchiude profondissimi significati
mistici e psicologici.
Sono queste immagini, queste figure, che mi sono affiorate alla mente
allorquando ho rivisto il bellissimo e drammatico film di Roberto
Faenza: "Prendimi l'anima".
Un film del 2002 che ricorda la profonda e tormentata storia d'amore
fra lo psichiatra Carl Gustav Jung ed una sua paziente, l'ebrea russa
Sabina Spielrein, poi diventata a sua volta celebre psicoanalista.
Una storia che venne alla luce proprio di recente, anche per mezzo
dello studio delle conversazioni epistolari fra il padre della
psicanalisi Sigmund Freud ed il suo allievo Jung.
Sabina Spielrein, fragile donna che nel 1904 fu ricoverata - a soli
vent'anni - in una clinica nei pressi di Zurigo in quanto gravemente
malata di isteria. Probabilmente in quanto maltrattata dal padre.
Qui la accoglierà amorevolmente uno Jung alle prime armi, dedito a sperimentare per la prima volta i metodi di Freud.
Metodi diametralmente opposti rispetto a quelli coercitivi in voga all'epoca fatti di docce fredde e camicie di forza.
Il metodo freudiano - che sarà poi alla base di quello junghiano - si
fonderà infatti sul dialogo franco ed aperto fra paziente e medico e
sulla libera associazione delle parole (mai come in questo film sono
stati messi in evidenza, sul grande schermo, i rudimenti di tale
metodo).
Sarà proprio la fiducia della Spielrein nei confronti di Jung a
garantirle la piena guarigione. Una guarigione - raffigurata - nel film
di Faenza, dalla bellissima scena della Spielrein (interpretata da una
magistrale Emilia Fox) che canta e suona "Tumbalalaika", canzone
d'amore russa della tradizione ebraica, accompagnata dai sorrisi e
dagli applausi di tutti i malati psichici della clinica. E da uno Jung
che si farà coinvolgere nella danza, con l'evidente disapprovazione di
tutti gli altri psichiatri, che già allora lo consideravano un tipo
bizzarro.
"Non ci può essere cura senza amore", afferma Jung nel film stesso, che ricorda una delle sue celebri massime: "Dove l'amore impera, non c'è desiderio di potere, e dove il potere predomina, manca l'amore. L'uno è l'ombra dell'altro".
Sarà così che, dopo la guarigione, Jung continuerà a frequentare la
donna, incoraggiata da lui stesso ad intraprendere studi in medicina.
E sarà così che i due si innamoreranno perdutamente l'uno dell'altra in
un'unione perfetta e simbiotica, erotica e passionale.
Jung donerà alla Spielrein, dunque, una pietra, rammentandole che gli
uomini primitivi erano soliti credere che l'anima umana fosse contenuta
in essa. Egli l'aveva così allegoricamente resa "custode della sua
anima".
Carl Gustav Jung è purtuttavia sempre un uomo sposato e si vedrà
costretto ad interrompere bruscamente il rapporto con la Spielrein, che
nel frattempo si laureerà e sposerà successivamente il medico russo
Pavel Scheftel che le darà due bambine.
E' così che la Spielrein tornerà nella sua Russia, a Mosca, ove fonderà un asilo per bambini: l'Asilo Bianco.
Jung, comunque, non la dimenticherà al punto che continuerà a sognarla
e saranno proprio i suoi sogni premonitori (ricordiamo che lui stesso
si occuperà in diverse occasioni della sua vita di questo particolare
fenomeno della psiche, così come dei cosiddetti "fenomeni occulti" di
cui si era già occupato nella sua tesi di laurea) a segnalargli i
momenti di pericolo corsi dalla donna. Che saranno purtroppo molti.
Nell'Asilo Bianco la Spielrein avrà modo di sperimentare nuovi metodi
educativi improntati allo sviluppo della creatività e della massima
libertà dei bambini, insegnando loro anche primi rudimenti di
educazione sessuale.
E' davvero commovente la scena in cui la Spielrein riesce a far
sorridere un bambino chiuso in sé stesso e profondamente triste,
distraendolo con un simpatico scimpanzè. Quel bambino è Ivan Ionov,
tutt'ora vivente ed ultra ottantenne che non dimenticherà mai quanto
fatto dalla psicoterapeuta per lui.
A Mosca, Sabina, aderirà anche al nascente bolscevismo, ma dovrà presto
ricredersi nel momento in cui la repressione stalinista le imporrà con
la forza di chiudere l'Asilo e metterà all'indice i suoi metodi
educativi, considerati contrari alla morale comunista.
E' così che, morto il marito nelle cosiddette "purghe staliniane", la
donna tornerà nella sua natia Rostov per tentare di fondare un asilo
clandestino, ma i nazisti che stavano avanzando in Unione Sovietica la
prenderanno e la trucidetanno assieme alle figlie ed a centinaia di
altri ebrei in una sinagoga.
Il film di Faenza è strutturato su due livelli: da una parte la storia
di Sabina Spielrein, della sua storia con Jung e della sua carriera di
psicoterapeuta infantile e dall'altra quello di due giovani studiosi,
Marie e Fraser, che, ai nostri giorni, a Mosca, tenteranno di
ricostruire la storia di questa incredibile donna.
Una donna, la Spielrein, che influenzò profondamente l'opera di Jung e
finanche di Freud, come documentato dai rapporti epistolari che ebbero
i tre.
Nel suo diario personale, ella volle appuntare che avrebbe desiderato -
una volta morta - che la sua testa andasse a Jung al fine di sezionarla
e di studiarla, mentre il suo corpo avrebbe voluto fosse cremato
affinché le sue ceneri fossero sparse ai piedi di una quercia con una
semplice lapide con sopra scritto: "Anch'io sono stata un essere umano".
"Prendimi l'anima" è dunque un'opera unica nel suo genere, che parla di
anima e di amore a partire da due storie autentiche: quella di un fine
studioso dell'inconscio come Jung e quella di un ex malata di mente poi
brillante psicanalista.
Un rapporto eterno: anima e amore, destinato ad affascinare e ad
entrare sempre e comunque nella vita quotidiana di ciascuno di noi.

Luca Bagatin
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