20 febbraio 2011
Evviva il 17 marzo ! Evviva il 20 Settembre ! Evviva la Terza Italia !
E finalmente è stata istituita la Festa dell'Unità d'Italia del 17 marzo ! Ma ci voleva tanto, mi chiedo io ? Sì, perché, senza l'Unità d'Italia nemmeno i vari Bossi, Calderoli & scalmanati della Lega Nord vari, avrebbero potuto dire le loro astrusità in piena libertà e sedere nel Parlamento nazionale, a dispetto del loro anti-patriottismo. L'Unità d'Italia è, come il 20 Settembre, un avvenimento storico che ha visto uniti repubblicani e monarchici, i quali hanno combattuto strenuamente e con sprezzo del pericolo per un ideale di unità nazionale, contro l'oppressione austriaca, borbonica e papalina. Un ideale che oggi sembra non esserci più, tutti presi a parlare di un federalismo senza basi, che potrebbe comportare solamente un aumento indiscriminato delle imposte a livello locale. Eh sì, perché federalista era anche Carlo Cattaneo, insigne pensatore repubblicano mazziniano, lontano però dalle spartizioni di Potere dei leghisti. Un conto, insomma, è demandare taluni poteri alle Regioni, abolendo prima gli enti inutili intermendi e burocratici come le Province, un altro è riempirsi la bocca di "devolution" con l'auspicio di costituire dei novelli "Steterelli accentratori". Rimango basito quando sento dire - persino dal Sindaco di Pordenone Sergio Bolzonello, che è un liberale storico - che si è perplessi relativamente al fatto che il 17 marzo diventi giorno festivo, in quanto ciò potrebbe comportare un danno alla nostra economia. Sarebbe infatti sufficiente, per riequilibrare il tutto, abolire qualche festa religiosa, come il lunedì di pasquetta o ferragosto, assolutamente in contrasto con lo spirito laico e liberale della nostra Repubblica. E a quel punto si potrebbe re-introdurre, finalmente, anche la festa nazionale del 20 Settembre - abolita dal fascismo - che mise fine al potere temporale dei Papi e proclamò Roma Capitale d'Italia. Verrebbe da chiedersi, una volta per tutte, se si preferisce un'Italia divisa in piccoli Stati, taluni comandati dal Papa o dal leghista scalmanato di turno, oppure un'Italia laica, repubblicana, liberale. Siamo nel 2011 ed ancora parliamo di questo. Un soggiorno in Iran a qualcuno, forse, farebbe davvero bene.
 Luca Bagatin
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1 agosto 2009
Giù le mani dalla Giovine Italia !
In questi giorni La Voce Repubblicana e
l'amico Enzo Cardone hanno sollevato la questione relativa alla
denominazione che intende assumere il movimento giovanile del PdL:
"Giovane Italia". "Giovane", o, meglio
"Giovine Italia" fu il nome che il nostro Giuseppe Mazzini
diede al movimento insurrezionale, di stampo carbonaro, che mirava
durante il Risorgimento a rendere l'Italia una Repubblica sovrana ed
indipendente dal giogo austriaco, francese, papalino e
borbonico. Ora, che cosa c'entri il PdL con tutto ciò proprio non
si capisce. Ma andiamo a monte, ovvero allorquanto l'On. Stefania
Craxi decise di fondare l'Associzione Giovane Italia, braccio
politico della Fondazione Craxi, a sua volta braccio culturale di
Forza Italia. Che confusione ! Figuriamoci che nel 2000
Stefania Craxi rispose di suo pugno (inviandomi una missiva
direttamente a casa) ad una mia lettera nella quale le facevo i
complimenti per l'iniziativa di mettere in piedi una Fondazione
intitolata a suo padre, grande socialista liberale ingiustamente
vilipeso. Una Fondazione, ovvero un "luogo di dibattito
culturale" e non già un "luogo politico" ad uso e
consumo di qualcuno. Stefania Craxi, anche a dispetto di ciò che
mi scrisse, agì diversamente e si fece eleggere finanche in
Parlamento. Ma che cosa c'entra la "Giovine Italia" con
il partito di Berlusconi ? Nulla. Se diversamente l'operazione di
Stefania Craxi prima e dei giovani del PdL poi, fosse quella di
riconoscere i meriti dell'azione mazziniana, tanto varrebbe che
costoro si iscrivessero al PRI. Diversamente trattasi di
un'operazione simile a quella dei cattocomunisti che in questi anni
sull'Unità si mettono a pubblicare Salvemini o a tirare per la
giacca Mario Pannunzio, in prossimità del centenario della sua
nascita. Operazioni furbesche e mistificatorie, visto che
Salvemini e Pannunzio combatterono con ferocia il cattocomunismo e
furono i primi a denunciarne la pericolosità ed incapacità
politica. Personalmente, purtuttavia, ritengo che i giovani del
PdL manchino semplicemente di originalità nella scelta della loro
denominazione. E mi chiedo anche se conoscano davvero l'opera
politica e culturale di Mazzini. E allora varrebbe la pena che
facessero come i giovani di Alleanza Nazionale qui da noi, a
Pordenone, in cui continuano orgogliosamente a chiamarsi Azione
Giovani come prima e a tenersi la loro bella fiamma tricolore quale
simbolo. Quanto al PdL, in sé, mi si permetta una breve
riflessione. Trattasi di un partito di transizione, che esisterà
sin tanto che esisterà Silvio Berlusconi. Senza radici e senza
una vera linea politica, è partito a noi tutti utile per governare
oggi l'Italia in assenza di un'opposizione credibile visto che il Pd
ed i suoi alleati non possono ritenersi credibili per governare il
nostro Paese, né oggi né in futuro. Il PdL è partito che con il
tempo andrebbe trasformato e finanche spaccato al fine di ridisegnare
un nuovo bipolarismo di cui questo Paese ha bisogno. Da una parte
i Liberaldemocratici e dall'altra i Conservatori. Il
dopo-Berlusconi è dietro l'angolo: diamoci da fare anche noi.
 Luca
Bagatin
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2 luglio 2009
Pierre-Joseph Proudhon: un filosofo-operaio antimarxista fra libertarismo e liberalismo
Tratto dall'articolo di Luciano Pellicani per "Critica Sociale" numero 3-4 2009

Nella "Sacra famiglia" Marx ed Engels avevano definito Proudhon un
pensatore proletario, uno sfruttato che parlava a nome degli sfruttati,
i cui libri per ciò stesso erano assai significativi e storicamente
importanti di tutta la produzione teorica degli intellettuali. Nella
"Miseria della filosofia" il giudizio è rovesciato con una disinvoltura a
dir poco stupefacente. Proudhon di colpo perde il suo status di membro
della classe operaia per trasformarsi in un piccolo borghese. In tal
modo si viene a creare questa bizzarra situazione: il piccolo borghese
Marx accusa l'operaio Proudhon di essere un piccolo borghese !
.....per Proudhon la cosa più importante del nuovo ordine è il
principio della concorrenza, poiché è grazie ad esso che gli uomini
hanno potuto liberarsi della tutela dei grandi apparati burocratici (la
Chiesa e lo Stato).
Proudhon ha capito, meglio persino dei teorici liberali del suo tempo,
che la proprietà è l'argine più solido contro lo Stato e che
quest'ultimo può essere limitato e contenuto nel suo fisiologico
imperialismo solo a condizione che non abbia il controllo monopolistico
dei mezzi di produzione.
Ma anarchismo e liberalismo non sono che i poli estremi fra i quali ha
oscillato, come un pendolo, il pensiero proudhoniano, senza comunque
mai fermarsi a lungo su uno di essi. Il punto attorno al quale le
oscillazioni sono più frequenti e ravvicinate è un altro: è il
socialismo di mercato, che egli condensò in due concetti fondamentali:
federalismo e mutualismo.
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15 settembre 2008
PER UN VERO FEDERALISMO SENZA STATALISMI (ANCHE) "PADANI"
Federalismo sì, federalismo no.
Ma sì, dai. Ovviamente se questo è
funzionale, come diceva il patriota repubblicano Carlo Cattaneo -
grande teorico federalista - a gestire meglio la cosa pubblica da parte
dei cittadini.
Abbiamo da sempre invece fortissimi dubbi e
perplessità sulla Lega Nord che è e rimarrà per noi un partito
statalista, parolaio, che continua a tirare a campare sulla base di
slogan vuoti e comunque traditi dai fatti sin dai tempi della Secessione.
Le prime sparate di Bossi
& Co. erano contro la Prima Repubblica e "Roma Ladrona", come se
nelle sue file "lumbard" tutti fossero onesti e liberisti.
Lo stesso
Umberto Bossi era un attivista del Partito Comunista Italiano in anni
non sospetti e, oltre a ciò, il suo movimento non ha mai nascosto le
sue antipatie per il liberalismo.
Basti pensare al rifiuto della
Lega alla proposta nel PdL di abolire le Province e le Comunità
Montane. E sì che questa dovrebbe essere la premessa per un vero
federalismo, per una vera riduzione della spesa pubblica e per un
conseguente abbassamento delle tasse.
Le Province sono utilissime,
ma solo come enti tecnico-amministrativi di collegamento fra Regioni e
Comuni. Punto e stop. Presidenti, giunta provinciale e relativi
consiglieri sono assolutamente inutili, costosi e spesso di impiccio.
Quella
dell'abolizione delle Province quale ente politico è una proposta che
lanciò l'allora Segretario del Partito Repubblicano Italiano Ugo La
Malfa e fu il suo cavallo di battaglia dal secondo dopoguerra sino alla morte.
Alle elezioni provinciali del 2004 di Pordenone, una delle poche volte che scesi in lizza, mi candidai
alla carica di consigliere in una lista civica indipendente che sosteneva proprio come punto
fondamentale del programma l'abolizione di questo ente inutile.
Fummo e di gran lunga superati dalla Lega che proponeva l'ennesimo
slogan: "Pordenone Provincia autonoma", il che equivaleva a dire: "aria
fritta in salsa padana".
Gli elettori di oggi, quindi, non si lascino intortare anche questa volta dalle camicie verdi.
Già
Roberto Calderoli parlava di una nuova introduzione dell'ICI (la più
iniqua tassa che potesse esistere), subito smentito dai suoi alleati,
ed oggi il Disegno di Legge da lui avanzato sul federalismo parla di
una non meglio precisata "tassa di scopo" !
Occhio alla Lega,
dunque. Perché federalismo, può anche significare nuovo statalismo se a
governare le varie realtà locali non ci sono dei veri liberali.
E'
uscito venerdì 12 settembre in edicola, abbinato al quotidiano "Libero" di
Vittorio Feltri, un agile ed ottimo volumetto a cura dell'Istituto
Bruno Leoni e dell'economista Oscar Giannino (peraltro membro del
Direttivo del PRI) dal titolo "Tassiamoci da soli". Lo sto
leggendo e sfogliando ed in ogni pagina vi leggo cose interessantissime e sacrosante.
Si parla principalmente del federalismo svizzero e di come lì le cose
funzionino davvero. Al punto che taluni Cantoni hanno introdotto la
salutare "flat tax", ovvero l'aliquota unica, invocata anche
dall'Eurispes per l'Italia e che sarebbe una vera mano santa per la
crescita economica e per tutelare financo i redditi più bassi.
In Svizzera, insomma, il federalismo funziona ed è collaudato da anni.
Qui da noi, invece, ancora troppi slogan e poco pragmatismo.
Auguriamoci che il Premier sappia bypassare presto la Lega e che porti
una ventata di vero liberalismo federalista.

Luca Bagatin
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16 giugno 2008
Renato Brunetta ha scoperto l'acqua calda !
"Ho scoperto l'acqua calda !", così ha esordito venerdì 13 giugno
scorso il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione
Renato Brunetta nella gremita Sala della Regione di Via Roma a
Pordenone, presentatosi in abbigliamento sportivissimo con camicia a
righe rosse e giubbino smanicato bianco. "Ho fatto pubblicare i dati
sui tassi di assenteismo sul sito web del mio Ministero e presto farò
pubblicare anche i dati relativi ai permessi sindacali dei miei
dipendenti". Trasparenza. Questa la parola d'ordine del Ministro che
ha chiesto anche agli altri suoi colleghi di Governo di fare
altrettanto ma, per ora, come egli stesso ammette, hanno fatto orecchie
da mercante. Renato Brunetta, già economista di scuola liberale e già a suo tempo vicino al Psi di Bettino Craxi, va avanti per la sua
strada: legittimo
prendere permessi nella pubblica amministrazione, purché i cittadini ne siano informati e possano controllarne l'attività ! Puro buonsenso
, pressoché mai introdotto nei governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni. Il
Ministro ne ha anche per la Sinistra Arcobaleno di cui un gruppetto di
6-7 persone volantinava al di fuori della sala citando un articolo del
giorno prima de "Il Piccolo" di Trieste che aveva pubblicato dei dati
sull'assenteismo dello stesso Brunetta al Parlamento Europeo quando era
deputato. "Questo volantino è merda !", ha tuonato senza mezzi
termini Brunetta, piccato, informando i volantinatori e tutta la platea
che quei dati sono fasulli al punto che lo stesso "Il Piccolo" ha
pubblicato la smentita lo stesso venerdì 13, confermando i dati
ufficiali che attestano le sue presenze fra il 60 ed il 70 %. "E'
necessario premiare i migliori e punire i furbi ed i fannulloni, magari
a partire dal licenziamento di coloro i quali nel settore pubblico
presentano certificati medici fasulli. E punire i medici stessi che si
prestano a tale truffa", questa la linea del Ministro
dell'Innovazione il quale prospetta anche che l'attuale Governo farà di
tutto per ridurre la spesa pubblica cominciando con l'abolizione delle
comunità montane e con la riduzione del numero delle Provincie. E
poi si spinge oltre: "Entro i prossimi 3 anni arriveremo a coprire con
la banda larga tutta l'Italia e a semplificare i bilanci dei Comuni
sotto i 3000 abitanti mediante l'introduzione di una modulistica
semplificata". E ancora, il Ministro Brunetta, ha parlato della
riforma federale dello Stato che prevede che ciascuna Regione italiana
trattenga al suo interno l'80% della ricchezza prodotta. Il che
significherebbe maggiore responsabilità nella spesa pubblica. Diversamente si
può arrivare anche al commissariamento della regione stessa. E termina parlando di un ambito non di sua competenza ministeriale, ma che lo ha sempre appassionato: quello del lavoro. "E'
vergognoso che in Italia vi siano pochissimi ispettori del lavoro"
utili tanto per i controlli sulla sicurezza che sulla trasparenza dei
contratti. Ricorda come anni fa proponeva di spostare gli impiegati dal
settore del collocamento del lavoro, ormai abolito, a funzioni di
ispettorato, ma incontrò la totale opposizione dei sindacati. Renato
Brunetta, ad ogni modo, non è disposto a lasciarsi intimidire e almeno
nella Pubblica Amministrazione farà di tutto per rivoluzionarla, in
quanto, sottolinea: "I servizi pubblici sono di tutto vantaggio dei
ceti più deboli e meno abbienti". Un Renato Brunetta che parla come un uomo di sinistra e da rivoluzionario, almeno nella definizione classica del termine. Un
Ministro che darà certamente filo da torcere ma, a giudicare
dall'ovazione tributatagli dalla platea pordenonese e dai sondaggi,
destinato a diventare sempre più popolare.

Luca Bagatin
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30 aprile 2008
L'immagine del Partito Repubblicano Italiano da Ugo La Malfa a Francesco Nucara
Nella lunga storia del pensiero repubblicano, c'è tutto il senso della nostra battaglia. Io passerò, ma il partito dell'unità e dell'indipendenza del paese, il partito dell'europeismo di Mazzini e del federalismo di Cattaneo, continuerà. Non vedo ancora l'Italia che sognavo e questo rimane un compito che attende i giovani. Ma sono convinto che sapremo reinserire l'Italia fra le società più avanzate dell'Occidente: esiste ancora un grande avvenire per il nostro Paese.
(dall'intervento di Ugo La Malfa al 33° Congresso del Partito Repubblicano Italiano)
Ugo La Malfa fu politico repubblicano che seppe guardare lontano. Lo chiamavano financo "Cassandra" per questo. Ugo La Malfa sostenne financo scelte impopolari pur di garantire un futuro a questo nostro Paese. Ugo La Malfa fu il politico che, negli anni '60 e '70, seppe arrestare il declino economico e portare l'Italia ad uno sviluppo che oggi ha quasi completamente perduto Ugo La Malfa fu il politico laico che sosteneva come l'Italia fosse "il Paese della Controriforma". Un vero "protestante", il nostro La Malfa. Un vero liberaldemocratico che seppe garantire al PRI il suo periodo più glorioso. Oggi che il PRI esiste ancora, ma per esigenze elettorali è collocato nel PDL (lo schieramento a parer nostro sicuramente meno controriformista), il nostro Paese non è ancora un Paese pienamente moderno: tutt'altro. Purtuttavia, piano piano, se saremo in grado di non chinare mai la testa potremo ancora riuscire a risalire la china. Per ora vi lascio ad un bellissimo articolo di Antonella Priori tratto da www.diario21.net che segnala l'uscita dell'interessante libro illustrato di Michele Spera sulla storia del Partito Repubblicano attraverso i suoi manifesti dal 1962 ad oggi: "L'immagine del Partito Repubblicano: Una rilettura 1962-2008" Gangemi Editore. Mezzi di comunicazione sempre vivi per un Partito ancora protagonista della storia italiana.
 Luca Bagatin
Quarantasei anni di storia di battaglie del Pri
ripercorsi attraverso una galleria di immagini inconfondibili: oltre
mille tra manifesti, opuscoli, materiali di propaganda politica
realizzati da Michele Spera tra il 1962 e il 2008.
Caso
unico nella storia dei partiti politici, il Partito repubblicano vanta
una riconoscibilità visiva forte, incisiva, coerente della propria
essenza, una continuità nella evocazione razionale ma al tempo stesso
poetica dei propri valori. Dopo oltre cento anni dalla sua
costituzione, resta infatti l’edera l’unico simbolo immutato nel
panorama politico italiano, lontano dalla caducità di slogan e segni
utilizzati per rendere ideologie astratte o bisogni temporanei. Il
pensiero e l’azione di donne e uomini che hanno partecipato -e
tutt’oggi partecipano- alla costruzione di un’Italia democratica,
libera, laica sono stati -e sono- rappresentati attraverso l’utilizzo
di un linguaggio moderno che, con i suoi segni e con i suoi colori, ha
anticipato tutti gli attuali meccanismi della comunicazione.
E’ attraverso questa comunicazione, così innovativa e così tesa a
sollecitare le riflessioni del cittadino, che Michele Spera ripercorre
gli eventi, i personaggi, le idee di un’epoca, consentendo al lettore
di ricostruire nella propria mente, con l’aiuto di brevi note, la
storia del Partito repubblicano e insieme la storia dell’Italia, con i
suoi momenti topici, le illusioni e le disillusioni, le speranze e le
battaglie a favore della società civile.
Un esempio tra molti, lo schierarsi dei repubblicani contro
l’abolizione della legge sul divorzio, sostenuta dal referendum del 12
maggio del 1974: Michele Spera realizza un manifesto che sollecita la
riflessione e la scelta, dove il ‘NO’ non è un grido bensì un invito
alla partecipazione, democratica, di tutti. Evitati i toni cupi di una
scelta morale e di coscienza, si trattava di adeguare la legislazione
italiana a quella dei Paesi economicamente e socialmente più avanzati,
serenamente. E sereno è il cielo su cui si staglia -luminoso- un ‘NO’
chiaro, inequivocabile, ma che non preme, non asfissia, non coercizza;
al contrario, suggerisce una scelta di libertà.
E ancora, poche righe dell’autore, riprese da un articolo pubblicato su
La Voce Repubblicana nel 1975, spiegano i dettagli di una campagna
molto particolare, quella che i repubblicani intrapresero per
coinvolgere i cittadini nella lotta al terrorismo: manifesti che
riproducevano foto originali di azioni terroristiche venivano affissi
al mattino e i passanti si fermavano a guardare quelle immagini
cruente, in un momento in cui il terrorismo contava sulla paura per
mettere radici; alla sera, le stesse immagini venivano ricoperte da
manifesti bianchi recanti, semplicemente, una ‘X’, segno chiaro,
inequivocabile ed efficace del rifiuto, della cancellazione della
pratica dell’eversione. Un segno deciso, inoppugnabile contro la
violenza e la morte. La volontà dei cittadini di riappropriarsi della
propria quotidianità e del proprio destino storico.
Creativo di fama internazionale, già nel 1965 ebbe l’intuizione di
utilizzare il volto del leader -e poi addirittura la sua firma- per
pubblicizzare le idee e i programmi che il Partito repubblicano andava
affermando, causando non poche polemiche, come lui stesso, all’inizio
del libro, spiega: “Ci furono per questo manifesto casi di isterismo
politico, di minacce di scissione; fui difeso dai miei amici, ma
l’accusa di ‘culto della personalità’ ce la trascinammo per anni”.
Spera aveva visto giusto, Ugo La Malfa sarebbe diventato leader
indiscusso del Partito e figura centrale della politica italiana negli
anni ’60 e ’70.
Scrive Francesco Nucara (attuale Segretario del PRI n.d.r.) nell’Introduzione: “L’uscita dei manifesti
repubblicani era negli anni Sessanta un evento; brillavano per i loro
colori forti, per i segni possenti, per la sottile armonia che li
accomunava: comunicavano un forte impatto emotivo sull’elettore che
subito riconosceva la loro matrice politica”.
Nella Prefazione di Domenico De Masi, invece, conosciamo uno Spera più
privato, a partire dal momento in cui, ragazzo, lascia la Lucania per
dedicarsi a quella professione che poi, nel corso degli anni e delle
esperienze, diventerà una vera e propria arte. Racconta: “Ho lavorato
anche con molti altri designer, ma con Michele si riesce a pensare in
mezz’ora ciò che con gli altri si penserebbe in due settimane. Covata
fulmineamente l’idea, ne segue per Michele una realizzazione meditata,
attentissima, quasi chirurgica, che si ferma solo quando il risultato è
perfetto. Molti giovani, nati dopo l’avvento del computer, stenteranno
a credere che alcune composizioni di Spera sono state realizzate quando
non si poteva disegnare se non a mano. In realtà, la computer grafica,
che ora Spera padroneggia, e che è connaturale al suo stile, gli ha
consentito solo una maggiore velocità, ma non una maggiore perfezione.
Se il computer fosse natura, nel caso di Michele potremmo dire che la
natura imita l’arte…”.
Un libro da leggere e da guardare. Una ‘rilettura’ per quanti conoscono
gli eventi e in essi si riconosceranno. Una piacevole, nuova lettura
per quanti, incuriositi dalle oltre mille proposte grafiche, vorranno
intravedere in esse le geniali intuizioni di chi assume il panorama
visivo quale contesto indispensabile all’innovazione politica e civile
di un Paese.
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6 settembre 2007
UTOPIE CONCRETE: ALTIERO SPINELLI E GAETANO SALVEMINI
   GAETANO SALVEMINI E ALTIERO SPINELLI: DA SEMPRE PER UN'EUROPA E UN'ITALIA LAICA, DEMOCRATICA, FEDERALISTA CONTRO LE GERARCHIE VATICANE, LE RELIGIONI ISTITUZIONALIZZATE E LE SOCIALBUROCRAZIE. Proprio in questi giorni ricorre il centenario della nascita di Altiero Spinelli (31 agosto 1907), padre dell'Europa unita, indipendente e federalista che, nel 1941 scrisse assieme all'azionista Ernesto Rossi il "Manifesto di Ventotene" nel quale teorizzò quella che oggi è appunto pressoché quasi diventata realtà, per quanto siamo ancora lontani da una vera integrazione politica europea.
Parimenti, oggi 6 settembre 2007, ricorrono i 50 anni dalla morte di un grande Maestro degli Azionisti e dei Liberalsocialisti da Carlo Rosselli ad Ernesto Rossi, allo stesso Spinelli, ovvero Gaetano Salvemini, nato a Molfetta nel 1873 e morto nel 1957.
Quest'ultimo, iscritto in un primo tempo al Partito Socialista di Filippo Turati, si battè a lungo contro il protezionismo ed i dazi doganali e per la rinascita del Mezzogiorno d'Italia e nel corso degli anni elaborò una linea politica che fosse socialista nei fini di giustizia e liberale nel metodo, contro ogni privilegio e che infiammò gli animi dei primi liberalsocialisti quali i fratelli Rosselli ed Ernesto Rossi con i quali condivise la lotta antifascista negli anni '20 e '30 fondando anche l'organo clandestino "Non Mollare" ed ispirando la nascita delle brigate di "Giustizia e Libertà" e del Partito d'Azione.
Nel dopoguerra si distinguerà ancora una volta assieme ai compagni azionisti e repubblicani per la lotta ad ogni dogmatismo: contro il clericalismo proponendo l'abolizione del Concordato e quindi dei Patti Lateranensi voluti dal fascismo e che il nuovo Stato italiano aveva recepito per volontà di democristiani e comunisti e contro ogni forma di statalismo e comunismo "espressione del totalitarismo di sinistra" come lo definiva Salvemini stesso.
Di Salvemini e di Spinelli ci rimangono oggi molte testimonanze vitali che tuttavia meriterebbero di essere valorizzate e riprese in mano. Di Spinelli oggi è ancora attivo il suo "Movimento Federalista Europeo" che fondò nel 1943 e che ancora oggi si batte per la piena creazione della Federazione Europea.
Di Salvemini, parimenti, ci rimangono le lotte per le quali si battè in prima persona e che sono tutt'altro che vinte: si pensino ai privilegi dei nostri governanti, agli sprechi nella pubblica amministrazione, ad una Chiesa cattolica che vuole sempre più imporre la sua morale allo Stato, ad una sinistra comunista che vorrebbe imporre le sue improduttive e controproducenti utopie.
Oggi, pur a distanza di molti decenni, abbiamo ancora bisogno di persone come Spinelli e Salvemini. Abbiamo bisogno di laicismo, europeismo, atlantismo, anticlericalismo, liberalismo, liberalsocialismo.
Perché purtroppo i conservatori di ieri (fascisti, clericali, comunisti), per quanto possano chiamarsi con nomi diversi, sono maggioritari ancora oggi in questo nostro Paese allo sbando.
Luca Bagatin
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