17 gennaio 2016
Eduard Limonov: io, l'intellettuale bolscevico che odia Putin e Gorbaciov (tratto da "La Repubblica" del 13 gennaio 2016)
Lo scrittore maledetto si
presenta in versione dimessa. Ma poi riemerge l'agitatore impegnato in
una guerra personale contro i leader russi passati e presenti (e
Brodskij, Solgenitsyn, Sacharov, Bulgakov...). Quanto al libro che gli
ha dedicato Carrère: «Perché fare precisazioni? Mi ha reso famoso. Va
bene così»
dal nostro corrispondente Nicola Lombardozzi
MOSCA. Ma con chi stiamo
parlando? Che tipo è quest'omino piccolo e magro con la barbetta alla
Trotskij che continua a fissare il pavimento di linoleum e le verdastre
pareti spoglie di una casa di periferia? Leggendo la storia della sua
vita, ricostruita con qualche pennellata romanzesca da Emmanuel Carrère (Limonov,
Adelphi), ci aspettavamo un eroe romantico e contraddittorio, una
canaglia sfrontata e senza limitazioni piccolo-borghesi, uno scrittore
maledetto, un po' sognatore rivoluzionario e un po' fanatico
nazifascista. Ed Eduard Limonov deve essere più o meno fatto veramente
così. Solo che non si vede. Sarebbe troppo facile. Stupire, spiazzare
gli interlocutori, è la prima regola per un personaggio del suo stampo.
Per questo si diverte a offrirci una versione dimessa ed eccessivamente
senile per i suoi 69 anni. Guarda compiaciuto il libro fresco di stampa
con l'aria finto umile del vecchietto che non credeva di meritare tanta
notorietà. E ci concede perfino un banale sguardo nostalgico dei bei
tempi andati tastando affettuosamente la copertina che lo ritrae giovane
e spudorato da qualche parte degli Stati Uniti anni Settanta con un
cappotto tutto alamari e spalline dell'Armata Rossa che fu. «Certo che
diventare un mito dà un certo piacere. Ma un libro è un libro. C'è del
vero e c'è del falso. Lasciamo perdere i dettagli». Avvertimento
preciso. In questa chiacchierata non si parlerà di sesso. Nessun
commento sugli episodi più scabrosi: lui che sodomizza la sua donna
davanti alla tv che trasmette un discorso di Solgenitsyn; il suo
concedersi a un giovane nero dietro a un cespuglio di Central Park; le
sue avventure con partner di ogni genere e sesso; le sei mogli amate e
perdute nel tempo, compresa la tenera sedicenne sposata quando lui aveva
già superato i 55. «Perché contraddire o fare precisazioni su Carrère?
Mi ha reso famoso. Va bene così».
Tutto bene tranne una cosa. La definizione che di Limonov ha dato lo scrittore francese: «Un genio con una vita di merda».
«Vita di merda lo dice lui. Io sono felice di quello che ho visto e che
ho fatto. Quando sono nato, in un paesino sovietico di poveri operai
ucraini, non avevo alcuna chance. Sarei morto di vodka e disperazione
lavorando in qualche fabbrica».
E invece, una lunga cavalcata sempre controcorrente. I circoli
letterari di Mosca, i primi romanzi, la fuga in America e la scoperta
che quello non era proprio un mondo ideale.
«Mai avuta tanta simpatia per l'America e per il suo stile di vita.
Avessi potuto scegliere sarei andato in Italia, o comunque in Europa.
Anche in America mi ritrovai a contestare il sistema. D'altra parte i
miei riferimenti, i miei amici, erano tutti legati alla sinistra
europea. Che allora era più antiamericana dell'Urss».
E insieme alla insofferenza per il capitalismo americano venne
fuori l'avversione per una vasta categoria di dissidenti sovietici che
lì avevano trovato denaro e successo.
«Ho parlato spesso molto male di Brodskij. Ho i miei motivi. È stato un
buon poeta, ma sopravvalutato. La sua fama mondiale non è dovuta al suo
talento ma alle sue capacità imprenditoriali».
Lei invece?
«Non riuscii a pubblicare neanche una mia opera. Non ero bravo come Brodskij a lavorarmi editori e mass media».
Se è per questo ha parlato malissimo anche dell'altra icona dei dissidenti dell'epoca Aleksandr Solgenitsyn.
«Sì, è vero. In quegli anni non potevo soffrire i dissidenti di mestiere
come Solgenitsyn e Andrej Sakharov. Li consideravo falsi, costruiti.
Adesso però riconosco la loro grandezza».
Limonov pentito?
«Non esageriamo. Ammetto che la loro influenza è stata utile. E mi fanno
pena per quello che hanno lasciato. Solo macerie. Solgenitsyn, che
vagheggiava l'unione panslava di Russia, Ucraina e Bielorussia, ha visto
morire i suoi sogni già nel '91. Mi mette tristezza pensare ad un uomo
che vede crollare in diretta il suo sogno filosofico».
E Sakharov?
«Lui almeno non ha potuto vedere come è finita la sua coraggiosa
battaglia. Non saprà mai di aver contribuito a fare arricchire i nuovi
ladruncoli democratici».
Giudizi duri e sprezzanti anche su altri scrittori molto amati
in Occidente e adesso mitizzati anche i Russia. Non ci sarà un po' di
invidia?
Per la prima volta Limonov sembra arrabbiarsi: «Ma figuratevi se invidio gente come Bulgakov, per esempio. Il Maestro e Margherita è un'operina banale infarcita di intellettualismi da quattro soldi. Ma il suo capolavoro è Cuore di cane, zeppo di ripugnante razzismo sociale e di un disgustoso disprezzo per la classe operaia».
E non è finita.
«Vogliamo parlare di Venedikt Erofeev e del suo Mosca-Petuski? Una robetta presuntosa senza alcun valore letterario».
Ecco che piano piano affiora il Limonov che ci aspettavamo. L'uomo che
ha smesso di scrivere romanzi dopo i successi del periodo francese e che
si è dedicato alla sua guerra personale contro Putin tra le fila di un
neo partito bolscevico.
Ma che vuol dire bolscevico nella Russia del 2012? Nostalgia di un passato dimenticato?
«In un certo senso sì. Molte cose andavano cambiate, adeguate ai tempi.
Ma la distruzione di tutto è stato un errore gravissimo. Un disastro.
Per questo non perdonerò mai Gorbaciov e Eltsin».
Gorbaciov in particolare.
«Per lui ci vorrebbe la ghigliottina, lo scriva. Voi occidentali
continuate a considerarlo un eroe. Ma qui in Russia non lo sopporta
nessuno. Vi siete mai chiesti il perché?».
In effetti sì, ma non ci sono molte risposte ragionevoli.
«Perché ha smantellato il Patto di Varsavia, ci ha fatto perdere tutto
quello che controllavamo. Ha fatto riunire la Germania devastando ogni
equilibrio in Europa». E la teoria di Limonov diventa elementare e
diretta: «La Germania Unita ha per esempio fomentato la guerra in
Jugoslavia. Le migliaia di vite perdute nella guerra dei Balcani sono
tutte a carico del signor Gorbaciov».
Possibile che Gorbaciov sia un suo nemico più di Putin stesso?
«Certo che sì. Su Putin ho un atteggiamento freddo. Ci ha tolto la
libertà, è vero. E lo combatto per questo. Ma con lui almeno si
sopravvive. Negli anni del caos di Eltsin invece si faceva fatica pure a
trovare il pane».
Dunque Putin meglio di Eltsin.
«Diciamo che la priorità è il pane. Poi viene la libertà. Dunque prima
ero contro Eltsin e adesso contro Putin per motivi diversi».
Ma come fa a proporre ancora un modello bolscevico?
«Il partito bolscevico nacque in Germania prima della Rivoluzione. È a
quello che mi ispiro. Diciamo che è una via di mezzo tra libertà
individuale e giustizia sociale».
Intanto, così per restare controcorrente, il suo manipolo di fedelissimi
diserta le grandi manifestazioni e preferisce protestare in disparte.
Lui viene arrestato quasi ogni volta. Sconta una settimana o due di
carcere. Poi torna fuori. «Non mi fido dei giovanotti piccolo-borghesi
che protestano adesso. Sono confusi, velleitari, e sono manipolati da
vecchi politicanti come Nemtsov che fanno il gioco del Cremlino. Tra un
po' la moda passerà e io e i miei bolscevichi resteremo da soli contro
questo regime».
Ma non sarà un po' geloso della popolarità di scrittori come
Boris Akunin e Ljudmjla Ulitskaja che contestano in piazza mentre i suoi
romanzi in Russia li leggono in pochi?
«Akunin è uno scrittore? Mi giunge nuovo. È un compilatore di gialli
dozzinali che ha fatto i soldi e ora cerca altra notorietà. Ha venduto
moltissimo da quando voi lo intervistate in piazza. La Ulitskaja poi,
una romanziera mediocre che si ostina in un genere letterario ormai
superato».
Cioè?
«Il romanzo, appunto. È nato nell'Ottocento, ma adesso non vale più
niente. È una forma plebea di letteratura. E lo dico io che ne ho
scritto 25 di buon livello. Adesso ho smesso. Mi dedico ai saggi. I
romanzi sono ormai roba per adolescenti ignoranti».
E cosa dovrebbe scrivere uno scrittore moderno?
«La verità nuda e cruda. L'altro giorno rileggevo i verbali delle
testimonianze nei miei confronti in uno dei tanti processi contro di me.
C'erano le voci di decine di personaggi reali. Una densità drammatica
che nemmeno Shakespeare sarebbe riuscito a realizzare. E comunque io non
mi considero nemmeno uno scrittore».
Altro colpo di scena, come dobbiamo definirla allora?
«Un intellettuale. Che è ben diverso da essere un membro della
intelligentsja. Di quelli ce ne sono tanti, in tutte le epoche. Si
limitano a propagandare quello che gli intellettuali veri hanno
elaborato almeno vent'anni prima».
E lei che cosa ha elaborato per le generazioni future?
Ghigno soddisfatto, gesto teatrale del braccio, voce in leggero falsetto
con un pizzico di autoronia: «Rilegga con attenzione il libro di
Carrère, qualcosa troverà».
Tratto da: http://www.repubblica.it/venerdi/interviste/2016/01/13/news/eduard_limonov_io_l_intelletuale_bolscevico_che_odia_putin_e_gorbaciov-131341860/
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11 gennaio 2016
C'era una volta Bettino Craxi
C'era una volta Bettino Craxi.
C'era una volta colui il quale portò
il Partito Socialista Italiano ai suoi massimi storici.
C'era una volta colui il quale
rammenterà ai socialisti le loro origini operaie e libertarie,
contrapponendosi da una parte al materialismo comunista e dall'altra
al becero capitalismo.
C'era una volta il finanziatore dei
Movimenti di Liberazione Nazionale del Terzo Mondo: dai sandinisti
all'OLP, i quali anche grazie ai suoi aiuti tenteranno di liberarsi
dal giogo imperialista.
C'era una volta il decisionista che
metterà a zittire le mezze calzette persino nel suo partito (da
tempo tornate in auge, a destra e a sinistra, purtroppo anche in
ruoli di rilievo che ai tempi mai avrebbero né avuto né tantomeno
meritato).
C'era una volta colui il quale si
batterà per la sovranità nazionale, senza cedere di un passo
all'imperialismo yankee.
C'era una volta colui il quale
abbatterà l'inflazione e favorirà il Made in Italy nel mondo.
C'era una volta colui il quale si
batterà contro le privatizzazioni selvagge ed anche per questo sarà
fatto fuori da quel capitalismo finanziario in combutta con Poteri
Forti e cattocomunisti.
C'era una volta un socialista con i
controfiocchi in un'epoca in cui il socialismo era ancora un ideale
concreto di emancipazione sociale, a differenza di oggi in cui le
“sinistre” europee hanno preferito perdere la loro sovranità in
favore dell'americanismo, del cosmopolitismo modernista, del
capitalismo che affama i popoli.
C'era una volta Bettino, l'amico sia
dei Radicali che di Democrazia Proletaria e di Lotta Continua.
C'era una volta.
Oggi, invece, al governo ed
all'opposizione, non è rimasto che il nulla.
 Luca Bagatin
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18 dicembre 2015
La religione è incompatibile con la civiltà e con la spiritualità
Continuo a pensare che l'origine di tutti i problemi di "civiltà" sia la religione. La religione è incompatibile con la civiltà. Anche perché la religione (ovvero il dogma, figlio del Potere), non ha nulla a che vedere con l'umanità e la spiritualità. (Luca Bagatin)

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12 dicembre 2015
Marine Le Pen: la nuova Marianna di Francia che piace agli sfruttati, ai laici, ai libertari e a tutti gli oppositori della globalizzazione e del capitalismo
A temerla sono, in sostanza, gli
euroburocrati, i finti socialisti come Valls e Hollande – venduti
al capitale e al Fondo Monetario Internazionale, già diretto dal
finto socialista Dominique Strauss-Kahn, già noto per i suoi
numerosi e vergognosi scandali a sfondo sessuale – e gli
pseudo-repubblicani alla Sarkozy, già noti per aver bombardato la
Libia sovrana di Gheddafi e la sua popolazione inerme, consegnandola,
di fatto, ai terroristi di Daesh.
Stiamo parlando della nuova Marianna di
Francia, ovvero di Marine Le Pen.
Marine, come scrivemmo già in altri
articoli, guida un Front National completamente rinnovato che, se
definire “di destra” è errato, definirlo “xenofobo” è
totalmente fuorviante.
Il Front National di Marine Le Pen è
infatti un partito sovranista, laico, repubblicano e persino
socialista, visto che guarda alle politiche sociali e degli alloggi
molto più che gli esponenti del PS francese, tutti presi nel non
contraddire le politiche di austerità imposte dalla BCE e dal FMI.
Certo, Marine pone al primo posto
l'identità, la nazionalità e la meritocrazia, ovvero tutte cose che
hanno sempre sostenuto nei tempi d'oro della Francia i De Gaulle ed i
Mitterrand, ovvero l'esatto opposto dei sedicenti “repubblicani”
e dei sedicenti “socialisti” della Francia odierna.
La stessa Flavia Perina, qualche giorno
fa sull'Huffington Post, ricordava come Marine Le Pen si definisca
“né di destra né di sinistra”, sino al punto di scrivere, sulla
sua pagina Facebook alla voce tendenza politica “altro”. E la
stessa Perina afferma come il Front National, checchè ne pensino i
vari Salvini, Meloni e Berlusconi di casa nostra, non ha nulla a che
vedere con il clericale e sfascista centrodestra italiano, al punto
che la Le Pen ha scelto, come suo vice, Florian Philippot,
omosessuale dichiarato (oltre che già simpatizzante del Front de
Gauche di Jean-Luc Mélenchon) e come lei stessa sia favorevole alla
legge sulle unioni civili.
Marine Le Pen fa dunque breccia fra
vittime della globalizzazione e del capitalismo: sui giovani, sugli
abitanti delle periferie e delle banlieue, sugli anziani, sulle
donne. Su coloro i quali, in sostanza, sono stati snobbati sia dalla
destra di Sarkozy che dalla sinistra di Hollande.
E si oppone fortemente al TTIP, ovvero
al trattato di libero scambio USA-Unione Europea, che di fatto
ingloberebbe l'Europa nel mercato statunitense, con immensi svantaggi
per i nostri mercati, le produzioni locali, l'ambiente e i diritti
dei lavoratori.
Da notare, peraltro, che la Le Pen è
una lettrice ed estimatrice di Antonio Gramsci e che ai suoi comizi,
spesso, si sono viste bandiere ed effigi raffiguranti Che Guevara,
Mu'Ammar Gheddafi e Hugo Chavez, ovvero i leader storici del
socialismo libertario e nazionale.
Come ha giustamente scritto Flavia
Perina, infatti, Marine Le Pen ha conquistato il Quarto Stato della
Francia. Quello che, nel mondo (in)globalizzato, non ha più una
voce. Un mondo (in)globalizzato che infatti ha generato povertà e
nuovo sfruttamento anche e soprattutto in quel Terzo Mondo preda
delle ruberie delle multinazionali ed i cui conflitti hanno generato
un'immigrazionismo utile solo alle grandi imprese sfruttatrici.
Sono dunque assoluamente sciocchi ed
irresponsabili le dichirazioni del premier francese Valls quando
afferma che una vittoria di Marine Le Pen segnerebbe una guerra
civile in Francia. La guerra civile rischia di essere generata dalle
politiche globaliste, fallimentari e di sfruttamento portate avanti
proprio da Valls, Hollande e prima di loro da Sarkozy e Chirac.
Confidiamo, dunque, in una ventata
nazionale e popolare che porti prossimamente Marine Le Pen all'Eliseo
e che il Front National prosegua nella sua evoluzione
storico-politica, magari comprendendo davvero che i Matteo Salvini
capital-fascisti (che hanno già mal-governato l'Italia), non hanno
davvero nulla a che vedere con la politica portata avanti da Marine e
dai suoi sostenitori.
 Luca Bagatin
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10 dicembre 2015
"Pensieri di lotta e di non-governo": aforismi libertari e antimperialisti by Luca Bagatin
Il pensiero si evolve. La cultura,
invece, ha radici antiche.
Se Colombo non avesse scoperto
l'America, oggi i Nativi sarebbero vivi.
Chi è a favore del capitalismo o è
ricco o è ingenuo. E l'ingenuo è sempre più pericoloso.
Al capitalismo di sinistra preferisco il socialismo di destra.
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4 dicembre 2015
"Socialisti & Democratici" stampella del governo capital-fascista renziano. Ovvero lontani anni luce dal Socialismo del XXIesimo Secolo lanciato da Chavez
VERSUS 
Si chiamano “Socialisti &
Democratici” e già quella & commerciale fa capire il tratto
commerciale e alquanto capitalisteggiante dell'operazione.
Sono le nuove stampelle sinistre del
Pd, ovvero del governo capital-fascista attuale. Ed infatti il loro
simbolo è la fotocopia di quello del Pd, con l'aggiunta della già
citata & commerciale e della rosa socialista al posto del rametto
d'ulivo piddino.
Già la rosa è parecchio lontana dal
garofano socialista di craxiana memoria, il quale richiamava gli
ideali della Comune di Parigi e della Rivoluzione portoghese dei
garofani. Il garofano, infatti, era un autentico simbolo popolare e
operaio e Bettino Craxi, defenestrato proprio dai post-comunisti
amici dei capitalisti e dell'alta finanza oggi al governo, negli Anni
'80 e '90, fu l'unico ad opporsi alle privatizzazioni selvagge e ad
un sistema economico che privilegiasse la finanza internazionale.
Ecco quindi gli ex socialisti Marco Di
Lello, Lello di Gioia e Giuseppe Lauricella, già aderenti al Psi
nenciniano – altra stampella del governo più conservatore e
capitalista della Storia italiana – far nascere l'ennesimo
gruppuscolo parlamentare che, con la benedizione della pur
affascinante Ministra Boschi, si propone di sostituire i sinistri
Fassina, D'Attorre e Civati. Tutti personaggi, anche loro, lontani
anni luce dal socialismo libertario e, sino a pochissimo tempo fa,
sostenitori del renzismo.
Evidentemente in Italia, dopo Bettino
Craxi - che pur si trovò a lottare all'interno di una coalizione
composita formata da una Dc conservatrice e da un Pri spadoliniano
filo atlantista (che dimenticò spesso le sue origini garibaldine e
mazziniane, ovvero nazionali e filo operaie), oltre che a lottare
contro l'opposizione del Pci, spesso subalterno alla grande impresa -
il socialismo è definitivamente scomparso.
Lo scriviamo praticamente ogni anno, da
quando Bettino morì e si volle per forza affibbiargli l'indegno
marchio della latitanza.
Da allora, ad ogni modo, iniziò a
soffiare, in Europa ed in Italia, il vento capitalista della BCE e
della globalizzazione, sostenuto a piè sospinto anche e soprattutto
dai partiti di sinistra e sedicenti socialisti alla Blair ed oggi
alla Hollande ed alla Renzi, lontanissimi anni luce dal Socialismo
Euromediterraneo degli Anni '80, il quale dialogava con i Paesi arabi
ed era diffidente nei confronti degli USA ed ostile alla finanza
internazionale.
Un vento capitalista che ha spazzato
via Gheddafi e che oggi vuole spazzare via Assad, aprendo ancora una
volta le porte ad un immigrazionismo che favorisce solo la grande
impresa, genera sfruttamento e danneggia i meno abbienti. E
spalancando le porte ad organizzazioni criminali e terroristiche
senza controllo. L'abbiamo visto, lo stiamo vedendo.
Questa la situazione dei sedicenti
socialisti europei e della “sinistra” di casa nostra (fatta
eccezione per il nuovo leader laburista inglese Jeremy Corbyn), che
ha fatto sì che in Francia le classi meno abbienti rivolgessero –
e come dar loro torto - la loro attenzione alla pasionaria Marine Le
Pen, che, dichiarandosi apertamente “non di destra” oggi di fatto
incarna in Francia una visione più credibile per battere il
capitalismo rispetto ai cosiddetti “socialisti”.
In America Latina, diversamente, il
Socialismo del XXIesimo Secolo, lanciato dal venezuelano Hugo Chavez
nel 1998 e propagatosi in tutto il continente attraverso l'elezione
del brasiliano Lula e poi della Roussef, dei peronisti argentini
Nestor e Cristina Kirchner, di Tabaré Vasquez e di José Mujica in
Uruguay, di Correa in Ecuador, del sandinista Ortega in Nicaragua e
di Evo Morales in Bolivia, ha dimostrato come il vero socialismo
delle origini – ovvero autogestionario, popolare e nazionale –
abbia saputo ridurre povertà, analfabetismo, esclusione sociale e
persino aprirsi ai diritti degli omosessuali (vedi l'Argentina e
l'Uruguay) e legalizzando la cannabis (vedi il caso dell'Uruguay).
Tutte cose delle quali la stessa Le Pen “non di destra”, anziché
inseguire ridicoli modelli capital-valbrembani alla Salvini, dovrebbe
e potrebbe far tesoro.
Certo, la strada è molto lunga ed in
America Latina sembra che si rischi di tornare indietro. Lo vediamo
con la sconfitta del peronismo in Argentina e ciò sta nuovamente
aprendo le porte al capitalismo ed allo sfruttamento dei più deboli.
Ma certamente il Socialismo del
XXIesimo Secolo non ha nulla a che spartire con i “Socialisti &
Democratici” renziani, i quali, oltre ad essere delle semplici
stampelle governative, nulla hanno a che spartire con i diritti dei
più deboli.
 Luca Bagatin
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30 novembre 2015
Il Peronismo: giustizia sociale, indipendenza economica e sovranità nazionale !
In Argentina, “peronismo”,
significa giustizia sociale, indipendenza economica e sovranità
nazionale.
Prova ne è il fatto che, sino a
qualche settimana fa, il partito che fu di Peron, ovvero il Partito
Giustizialista, governava il Paese risollevandone le sorti, in
particolare riducendo povertà e analfabetismo.
In Italia, purtroppo, a causa di una
falsa interpretazione, il termine “peronista” è stato spesso
associato al fascismo, al berlusconismo e, recentemente, persino al
renzismo. Ovvero a quanto di più lontano ci possa essere dalla
dottrina e dal governo di Juan Domingo Peron, che resse le sorti del
Paese dal 1945 sino al 1955.
Un decennio storico e dai risultati
encomiabili.
Un decennio ricordato da Alfredo
Helman, argentino, classe 1935, che vive da moltissimi anni in Italia
per ragioni politiche e che, essendo comunista da sempre (militò
anche con Che Guevara ed il suo nome compare anche in “Diario in
Bolivia” del Che), non è tacciabile di aprioristiche simpatie
peroniste.
Nel suo “Il Peronismo 1945 – 1955:
una storia argentina raccontata agli italiani” (Edizioni
Clandestine), Alfredo Helman, attraverso fatti e dati numerici reali,
documenta quanto di positivo ha attuato il peronismo in quel decennio
storico.
Risultati che hanno portato un Paese
agricolo come l'Argentina, con la terra nelle mani di pochi ricchi
oligarchi, a diventare paese industriale con un benessere diffuso in
particolare fra i ceti poveri e operai, con un aumento del reddito –
dal 1943 al 1954 – del 55%, un aumento medio del PIL del 4% ed il
passaggio del debito pubblico dal 68% al 57% nei dieci anni di
governo di Juan Domingo Peron, il quale, attraverso una serie di
nazionalizzazioni, dalle banche alle ferrovie sino alla flotta
mercantile ed alla produzione di petrolio, riuscì ad a far passare
il controllo dell'economia dalla Gran Bretagna che di fatto ne
muoveva i fili, al governo argentino stesso, il quale, fra l'altro,
incoraggiò molto il cooperativismo agricolo.
In questo modo, in sostanza,
l'Argentina smise di dipedere dall'estero, evitò di indebitarsi con
le potenze straniere, aumentò le esportazioni ed avviò una politica
estera di equidistanza sia dagli Stati Uniti d'America che dall'URSS
(la famosa Terza Posizione antimperialista rilanciata più volte da
Peron).
Alfredo Helman, nel suo saggio, spiega
come il peronismo nacque grazie al supporto degli operai, della
Confederazione Generale del Lavoro (CGT) e delle classi meno agiate,
oltre che del nascente Partito Laburista, il quale propose per primo
la candidatura alla Presidenza della Repubblica del Generale Peron,
il quale aveva già a suo tempo preso parte – attraverso il Gruppo
degli Ufficiali Uniti – al colpo di stato militare contro il
governo corrotto del conservatore Ramon Castillo, ricoprendo,
successivamente all'esito positivo del colpo di stato, la carica di
Ministro del Lavoro e del Benessere Sociale.
Fu così che Peron, nelle prime
elezioni democratiche e senza brogli della storia Argentina, quelle
del 1946, sarà eletto Presidente con il 52% dei consensi e iniziando
ad attuare una politica in favore dei più deboli, degli anziani, dei
bambini, attraverso la lotta all'analfabetismo e all'esclusione
sociale, degli operai, ai quali saranno garantiti per la prima volta
tutti i diritti di ferie pagate, malattia, pensione ed infortuni,
l'introduzione della tredicesima mensilità, oltre che una legge
contro i licenziamenti 57 anni prima dello Statuto dei Lavoratori
italiano, oggi smantellato dal renzismo ! Oltre che garantendo
aumenti del budget sanitario e costruendo abitazioni per coloro i
quali non potevano permettersele.
E sarà anche così che il Partito
Laburista si scioglierà presto nel Partito Peronista o Partito
Giustizialista.
Helman riconosce qui la forte miopia di
socialisti e comunisti argentini, i quali a quel tempo e spesso anche
dopo – trovandosi scavalcati “a sinistra” - guardarono con
sospetto la politica peronista, finendo per allearsi con la destra
conservatrice che porterà al colpo di stato del 1955 che provocherà
la messa al bando del peronismo, la sanguinosa dittatura militare e
l'esilio di Peron in Spagna. Alfredo Helman ritiene infatti che, se
socialisti e comunisti argentini avessero appoggiato Peron, le cose
sarebbero andate molto diversamente e forse la dittatura
antiperonista si sarebbe potuta evitare.
Aspetto non secondario della politica
di Peron, fu poi la ricerca di un'unità economica, politica e
sociale dell'America Latina, tentando di mantenere ottimi rapporti
con i Paesi limitrofi. Politica costantemente osteggiata, per ragioni
economiche, tanto dalla Gran Bretagna quanto dagli USA.
Alfredo Helman non dimentica di citare
l'opera della prima moglie di Peron, Evita, la quale ancora oggi e
forse anche più del marito, è ricordata dagli argentini con
particolare affetto.
Evita, di fatto, condizionò molto
l'attività del marito in senso sociale e proletario, giungendo
spesso a dialogare direttamente con gli operai in sciopero e
garantendo, attraverso la sua Fondazione, assistenza agli umili ed ai
bisognosi. Assistenza che Evita odiava definire “carità”, ma
semplicemente “restituzione di quanto ai poveri era stato negato
dai ricchi e dagli oligarchi”.
Ed è assolutamente veritiero il fatto
che, quando Evita morì, nel 1952, anche il peronismo delle origini
cominciò ad affievolirsi. Non è un caso che, durante la dittatura
militare che portò alla messa al bando del peronismo per 18 anni
successivi, sino al 1973, si costituirono numerose bande partigiane
peroniste definite “Montoneros” ed intitolate a in particolare a
Evita.
Il saggio di Helman, edito una decina
di anni fa, ovvero nel momento in cui in Argentina fu eletto il
Presidente peronista Nestor Kirchner, al quale di fatto il saggio
stesso è dedicato, si conclude con l'auspicio che i leader
socialisti dell'America Latina del XXIesimo secolo, da Kirchner a
Lula, passando per Chavez, Morales, Tabaré Vasquez e altri, possano
essere ricordati come gli antichi Libertadores latinoamericani: da
Simon Bolivar a José Marti.
Personalmente, visti i risultati
ottenuti dal 2000 ad oggi, penso davvero che il Peronismo ed il
Socialismo del XXIesimo secolo, abbiano trionfato in America Latina.
Parlano i fatti: riduzione della povertà, riduzione
dell'analfabetismo, maggiore indipendenza economica, abbassamento del
debito pubblico, aumento del PIL.
Certo, l'Argentina, dopo gli ottimi
governi di Nestor e Cristina Kirchner, oggi, con la vittoria del
centrodestra del conservatore Marci, rischia di tornare indietro di
decenni e già lo stiamo vedendo con la nomina a Ministro
dell'Agricoltura dell'ex direttore della Multinazionale OGM Monsanto.
Purtuttavia sono convinto che lo
spirito peronista che ancora pervade il fiero popolo argentino saprà
porre un argine alle storture dei fautori di un mercato senza umanità
e senza amore.
Uno spirito socialista e nazionale che
in Venezuela, alle imminenti elezioni legislative, mi auguro confermi
la vittoria del fronte chavista, contro l'oligarchia di destra.
Uno spirito, quello peronista e
socialista nazionale, che purtroppo è lontano anni luce dalla nostra
Europa, la quale, da una parte ha visto la sinistra tradizionale
vendersi al capitalismo più becero (vedi i vari Blair, Hollande,
Renzi, Schulz) e dall'altra una destra che ha da sempre difeso la
grande impresa a scapito dei più deboli e dei lavoratori.
Abbiamo decisamente molto da
approfondire e da imparare. A partire soprattutto dal fatto che la
vera democrazia non è il governo della maggioranza o dei ricchi,
bensì il governo del popolo. Di un popolo alla ricerca della
giustizia sociale, dell'indipendenza economica e della sovranità
nazionale.
 Luca Bagatin
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17 novembre 2015
Riflessioni terzomondiste: by Luca Bagatin
Non vi può essere vera cultura dei
diritti se, nel mondo, vi sono ancora bambini che soffrono, che
muoiono, che hanno fame. E la stessa cosa vale per donne e uomini,
trattati come carne da macello e schiavi della dittatura del Potere,
del Danaro, della Religione.
Mi occupo di (contro)cultura e
(anti)politica il che significa che la politica cosiddetta
"ufficiale" non solo non mi interessa ma la ritengo
marginale e poco utile per le persone. Se volete possiamo anche
parlarne, ma, sinceramente, preferisco parlare di cose serie.
Mi auguro che Hollande e Sarkozy si
pentano amaramente della loro politica estera. La Libia,
ricordiamolo, subì un vero e proprio atto di guerra da parte del
governo francese. Il popolo francese NON fu mai consultato in
merito !
L'unica perversità che conosco sono le
Religioni Monoteiste Istituzionalizzate. La mia unica religione è l'Amore.
Oggi va bene essere francesi, ma
occorreva essere libici quando la Libia sovrana veniva invasa dalla
Francia. Il terrorismo non lo compiono i popoli. Ma i
politicanti.
Forse Roma, più che di un sindaco, necessiterebbe di poteri speciali a forze dell'ordine e a forze armate, per
obbligare le persone poco educate a rispettare la legge.
Chi attacca o uccide una persona
pacifica e inerme non è né un uomo né un militare.
Leggo che i politicanti non sanno che
cosa fare dell area Expo. Ma scusate, costruire case da dare a chi
non ne ha, sarebbe chiedere troppo ?
Li hanno chiamati "dittatori", ma, se avessero studiato
ed approfondito le loro storie, avrebbero notato che Mu'Ammar Gheddafi e Josip Broz Tito, erano dei
riformatori sociali che attuarono, rispettivamente, in Libia e in
Jugoslavia, l'autogestione delle imprese e dell'economia, sostenendo
i ceti più poveri della popolazione. Rimanendo autonomi sia dal
blocco sovietico che da quello capitalista. A rappresentare un
Terzo Mondo libero e sovrano.
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2 novembre 2015
"REBEL !": aforismi e riflessioni by Luca Bagatin
Tutta questa modernità triste, questa globalizzazione e questa
politica che uccide l'amore e il pensiero, Pier Paolo Pasolini, l'aveva già vista e
prevista.
"Politico" e "onesto" sono due parole
che difficilmente possono stare assieme". O sei un politico,
oppure sei una persona onesta.
Una manovra che piace agli industriali e povertà estrema in
aumento”. Ecco le conseguenze del governo capital fascista
italiano.
Al ceto alto e a quello medio io mostro sempre il dito
medio !
La globalizzazione ha portato solo squallore e povertà diffusa
in Occidente, imposto un confuso rimescolamento delle culture -
ovvero il loro annullamento/sradicamento - e ha portato benessere
solo a taluni oligarchi stranieri. Probabilmente solo chi non ha
mai vissuto nell'agio e ha sempre goduto del poco che ha avuto, se
ne rende davvero conto. Ed è per questo che, forse, una vera
rivoluzione (contro)culturale può arrivare solo dalle periferie.
Ho da sempre seria difficoltà a vivere nell'epoca odierna. Ho
nostalgia per le epoche in cui si amava davvero, anche in modo
epistolare. Per le epoche in cui, per risolvere una contesa o
conquistare il cuore di qualcuna si usava la spada, si duellava, si
combatteva per ottenere qualcosa. Le epoche dei salotti letterari
e filosofici, dei libertinaggi, della musica colta. Non della
stupidità, della beotaggine, della cafonaggine d'oggi. Sono un
conservatore e ne vado fiero.
La difesa è sempre legittima. Talvolta lo è anche l'attacco.
La produttività si è evoluta al punto da diventare l'unica
ragione di tutto. Il mondo sembra muoversi attorno ad essa e per me
è una cosa aberrante. E' il trionfo del libero commercio, ovvero
della libera schiavitù delle persone (a partire dal lavoro, che è
imposto e non scelto liberamente) e del sistema
competitivo-maschilista-patriarcale che, peraltro, ha mascolinizzato
le donne, le ha rese competitive in ogni settore. Se il modello
egualitario si contrappone al modello capitalista-produttivista ben
venga. Il termine femminista non mi piace. Preferisco "matriarcale".
Molti anni fa ero innamorato. Oggi,
anche se lo fossi, mi guarderei bene dal dichiararmi.
Oggi ho terminato di leggere una biografia. Poco importa di chi
sia. Ad un certo punto, verso la fine, a pagina 330, mi imbatto in
una scena che mi ha davvero commosso come non mi succedeva da tempo.
Lui è in prigione, accusato ingiustamente di terrorismo. Ha 60 anni. Lei ne ha
20, è una ragazza punk e fa parte del suo movimento politico. Sono
fidanzati. Si incontrano in prigione. Lui le chiede: "Per
quanto tempo pensi di potermi aspettare ?". Lei lo guarda
stupita. Nessuno lo ha mai guardato così. Nessuno lo ha mai amato
così. Lei risponde: "Ti aspetterò sempre".
E qui, il sottoscritto, ha iniziato a sciogliersi in
lacrime. Dubito che, nella vita, mi capiterà mai di conoscere una
donna così.
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26 ottobre 2015
Tony Blair, più che scusarsi, dovrebbe consegnarsi alla giustizia internazionale
Tony Blair si scusa e lo fa in
un'intervista alla CNN americana, ma è troppo tardi e ha troppe
vittime sulla coscienza.
Altrettanto non fa George W. Bush che,
quantomeno, è sparito dalle scene.
La guerra in Iraq fu una guerra sporca
e ha favorito, di fatto, l'Isis. Le prove delle armi di distruzione
di massa: semplicemente inventate a tavolino da Blair e Bush che,
stranamente, non sono mai stati incriminati per crimini contro
l'umanità come invece sarebbe stato giusto e come chiesto più volte
in sede Internazionale, peraltro, dall'allora Presidente del
Venezuela Hugo Chavez.
Peccato che Blair, nel frattempo non
più premier della Gran Bretagna, abbia ricoperto l'incarico di
inviato di pace (sic !) in Medio Oriente su mandato dell'ONU, di UE,
Russia e USA. Una vergogna di proporzioni colossali che merita di
essere ricordata dai libri Storia e che fa il paio con gli atroci
crimini commessi dalle forze anglo-franco-statuitensi che hanno
invaso la Libia, fatto ammazzare il governante legittimo, ovvero il
colonnello e Raìs Gheddafi e, ancora una volta, favorito l'Isis.
Quell'Isis che, come ricordò a suo tempo l'ex generale Wesley Clark,
fu per decenni finanziato dagli amici degli Stati Uniti d'America.
Grazie, dunque, ai sedicenti leader
falsamente democratici inglesi, statunitensi e francesi ! Mille
grazie Blair, Bush, Obama e Hollande ! Grazie per averci portato il
terrorismo in casa !
A poco servono o serviranno le vostre
scuse postume e si è visto. Drammatico, semmai, il fatto che siate e
rimarrete impuniti, alla faccia dei diritti umani e civili che avete
calpestato. E alla faccia dei popoli che vi hanno eletti e che avete
per anni imbrogliato.
 Luca Bagatin
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