19 maggio 2012
Randolfo Pacciardi: profilo politico dell'ultimo mazziniano
Il clima di sfiducia endemica da parte dei cittadini nei confronti della
politica italiana ci riporta
alla mente un grande leader Repubblicano: Randolfo Pacciardi. Pacciardi
fu forse il primo a denunciare la crisi dei partiti, trasformatisi,
dopo il centrismo degasperiano, in veri e propri centri di potere,
talvolta palese, talvolta occulto. Di Randolfo Pacciardi si ricorda
poco, in quanto l'intellighenzia culturale partitocratica,
cattocomunista e clericofascista, fecero di tutto per offuscarne la
memoria e le battaglie politiche e culturali. A un anno dalla
bellissima raccolta di scritti e discorsi curata dall'amico repubblicano
Renato Traquandi, già stretto collaboratore di Pacciardi, ed edita da
Albatros, ecco approdare in libreria, per i tipi della Rubbettino,
"Randolfo Pacciardi.
Profilo politico dell'ultimo mazziniano", del prof. Paolo Palma. Una
biografia completa e corredata anche da rarissime foto in appendice del
leader politico repubblicano, durente la Guerra di Spagna; la lotta al
fascismo; nei primi comizi ed assieme a Capi di Stato e di Governo
italiani e stranieri. Paolo Palma, che Pacciardi conobbe bene,
tratteggia il profilo del leader grossetano di Giuncarico, nato nel
1899, interventista della prima ora a fianco delle forze dell'Intesa e
contro gli Imperi Centrali, al fine di completare l'Unità d'Italia,
sull'esempio del suo maestro Arcangelo Ghisleri, uno dei padri del
repubblicanesimo mazziniano. E fu così, con l'ideale di Giuseppe
Mazzini nel cuore, che Pacciardi, appena quindicenne, si iscriverà al
Partito Repubblicano Italiano e successivamente sarà iniziato alla
Massoneria e, nel 1917, si arruolerà nell'esercito italiano e sarà
inviato al fronte, ove brillerà per ardimento, in particolare
collaborando con le truppe anglo-francesi e sarà decorato con la
Military Cross e
della Croix de guerre avec palme. A guerra terminata, nonostante i
fascisti lo corteggino affinchè passi nelle loro fila, Pacciardi sarà
fra i primi a rifiutare tali tendenziosi inviti e a denunciare il
pericolo totalitario e filo-monarchico del nascente movimento
mussoliniano. Fonderà dunque giornali antifascisti della primissima
ora (cosa assai rara, per quei tempi, se pensiamo che numerosi comunisti
e socialisti passeranno presto nelle file del Duce e che lo stesso
Giovanni Spadolini, successivamente Segretario del PRI, sarà
collaboratore dell'organo antisemita "La Difesa della Razza") e ben
presto fonderà il primo movimento antifascista denominato "Italia
Libera", su principi mazziniani, repubblicani, contro ogni tipo di
lotta di classe e per l'esaltazione del socialismo etico e
dell'insurrezionalismo risorgimentale. Rondolfo Pacciardi, infatti,
fu Repubblicano che seppe rivalutare il pensiero liberalsocialista di
Giuseppe Mazzini, contrapposto al nascente bolscevismo e, ovviamente, al
fascismo nazionalista. Fu così che, nel 1925, partecipò ad un
tentativo insurrezionale per
rovesciare il regime fascista, che, purtroppo, fallì e fu così che, nel
1926, Pacciardi, sarà affidato al confino, ma riuscì a fuggire in
Svizzera, rimanendo in contatto con il movimento antifascista "Giustizia
e Libertà" e gli anarchici e tentando, nel 1931, di organizzare
un'attentato dinamitardo contro Mussolini, anch'esso fallito. Nel
1936 parteciperà alla Guerra civile spagnola, al comando della celebre e
prestigiosa Brigata Garibaldi, contro le truppe nazifasciste e
franchiste ed opponendosi persino ai tentativi dei comunisti di
annientare socialisti ed anarchici. Pacciardi, da buon mazziniano,
fece poi di tutto per fondere il PRI al Partito d'Azione ed attestando
il movimento repubblicano nel solco del socialismo non marxista e
liberale e questo sarà il suo obiettivo per tutto il dopoguerra, ove,
nel frattempo, fu eletto più volte Segretario del PRI. Sarà dunque
chiamato da Alcide De Gasperi alla Vicepresidenza del Consiglio e
successivamente a presiedere il
Ministero della Difesa sino al 1953, nei primi governi centristi
DC-PRI-PSLI-PLI. Fu, assieme a Sforza ed Einaudi, fra i più accesi
sostenitori del Piano Marshall per la ricostruzione e del Patto
Atlantico, anche in funzione anticomunista. Priorità di Pacciardi fu
sempre, infatti, quella di arginare un nuovo pericolo totalitario, nel
dopoguerra proveniente dall'URSS e dal suo partito satellite, il PCI. Fu
così che Pacciardi iniziò a sviluppare la sua idea presidenzialista,
sull'esempio dell'antifascista francese De Gaulle, e a sviluppare le sue
idee federaliste in funzione anti-separatista ed anti-nazionalista, anche sull'esempio della Costituzione degli Stati Uniti d'America. Feroci
furono le critiche al sistema partitocratico, ovvero a quella che
Pacciardi definiva una nuova dittura dei partiti, fatta da interessi di
retrobottega ai danni dei cittadini. Ed in questo fu il primo a
denunciare il sistema diffuso delle tangenti, della corruzione e delle
correnti nei partiti. Il suo anticomunismo lo porterà ad esaltare il
centrismo degasperiano e a diffidare dei socialisti di Nenni, i quali
erano ancora troppo vicini al PCI ed al marxismo. Fu così che egli votò
contro il primo governo di Centro-Sinistra allargato al PSI. Pacciardi
avrebbe preferito infatti la costituzione di una Terza Forza laica,
comprendente repubblicani, socialdemocratici e liberali, da
contrapporre, con il tempo, sia alla DC che al PCI. Il suo voto
contrario al Centro-Sinistra, oltre che le critiche alla partitocrazia,
ad ogni modo, gli costò l'espulsione dal PRI di Ugo La Malfa e
l'ostracismo di gran parte dell'arco parlamentare che, da allora, lo
bollerà come fascista e da allora sarà persino fatto seguire dal
servizio segreto italiano, il Sifar. Pacciardi, ad ogni modo, non si
perderà d'animo e nel 1964, fonderà il movimento d'ispirazione gollista,
nè di destra, nè di sinistra, Unione Democratica Nuova Repubblica,
recante per simbolo una primula stilizzata, il quale, pur avendo
vita breve e scarsi risultati elettorali, porrà le basi per una nuova
battaglia politico-culturale ancora oggi di strettissima attualità: la
proposta di far eleggere il Presidente della Repubblica, con funzioni di
governo e slegato dai partiti, da parte dei cittadini. Randolfo
Pacciardi, richiamava così l'antica battaglia di Mazzini per una
Repubblica democratica di popolo, lontana dai giochi di potere e
restituita ai cittadini. Ciò, ad ogni modo, gli costerà nuove
diffidenze, in particolare quando alla battaglia presidenzialista si
unirà l'ambasciatore Edgardo Sogno, liberale e già eroe antifascista,
ingiustamente accusato di golpismo solo perché aveva dichiarato che
avrebbe arginato, assieme a Pacciardi, ogni tentativo di presa del
potere da parte del PCI, allora finanziato dalla dittatura sovietica, ed
auspicato un governo di emergenza presieduto dallo stesso Pacciardi. L'ultima
battaglia presidenzialista ed antipartitocratica di
Pacciardi e Sogno, ad ogni modo, si terrà nel 1975, al Teatro Adriano
di Roma, dal titolo "Una soluzione democratica alla crisi di regime",
con i giovani del Partito Liberale, pronti ad ostacolare la polizia
qualora avesse tentato di far arrestare Sogno. Randolfo Pacciardi, ad
ogni modo, rientrerà nel PRI nel 1980, per morire, ultra noventenne,
nel 1991. La sua idea di riforma presidenziale sarà ripresa dal
socialista Bettino Craxi, il quale, confiderà proprio di essersi
ispirato a Pacciardi. Tutto ciò e molto altro è scritto e documentato
dal prof. Paolo Palma nell'agile biografia che abbiamo, testè, tentato
di riassumere. E' un testo, assieme a quello dell'amico Traquandi,
pubblicato lo scorso anno, da leggere e diffondere in quanto di
strettissima attualità. Probabilmente se oggi, in luogo dei Beppe
Grillo, ci fosse un Randolfo Pacciardi, ovvero una personalità di questo tipo, con solide radici culturali e
democratiche, forse, una reale speranza di rinascita onesta, civile e
democratica
per l'Italia, ci sarebbe davvero. Occorre dunque ai nuovi mazziniani e presidenzialisti, riprendere questa battaglia non ancora vinta.
 Luca Bagatin
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10 gennaio 2008
Renato Traquandi ed il suo Ideario Repubblicano
   Renato Traquandi di Arezzo è militante del Partito Repubblicano
Italiano di lungo corso, nonché parente stretto dell'eroe del
Partito d'Azione Nello Traquandi, le cui spoglie mortali riposano nel cimitero di Trespiano accanto a quelle di Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini.
Assieme ad Aldo Chiarle (per quanto riguarda la tradizione socialista),
al prof. Nicola Terracciano (per quanto riguarda la tradizione
azionista) e a Massimo Teodori (per quanto riguarda il liberalismo
radicale), è una delle mie "icone laiche": un "mostro sacro" di
passione politica e culturale e per questo non posso fare a meno di
conservare ogni suo appassionante articolo che leggo sulla Voce
Repubblicana. Con Renato, sino a che non ha cambiato indirizzo di posta elettronica (non conosco ancora quello nuovo), ci siamo sentiti in più di un'occasione per scambiarci alcune opinioni e debbo dire che mi piacerebbe molto conoscerlo di persona per stringergli fraternamente la mano.
Il suo ultimo articolo, apparso sempre sull'organo ufficiale del PRI il 2 ed il 3
gennaio, è quello che segue: una vera e propria immersione nella
cultura mazziniana con gli occhi e l'esperienza di uno la cui scorza è
bella coriacea !

Luca Bagatin
    Ideario Repubblicano
Ho
aspettato due settimane dal convegno di Milano della Voce Repubblicana,
egregiamente tenuto alla fine del mese di ottobre del corrente anno,
con lusinghieri risultati, prima di mettermi al computer e buttar giù
quanto nei miei pensieri si andava arroccando da mesi. In altri
ambienti e in circostanze analoghe, persone alquanto a noi affini
sovente si interrogano sui quesiti dell’esistenza, fornendo, ciascuno a
suo modo, risposte variegate sul “ chi siamo, da dove veniamo, dove
vogliamo andare?” In questo tempo il Partito Repubblicano Italiano,
pur mai stato un partito così detto “ di massa”, è pressoché ridotto ai
minimi termini, e non soltanto rispetto al consenso elettorale, ma per
le esigue risorse e la scarsa presa che ancora riesce ad ottenere sul
fronte della agorà culturale, nazionale e non solo. Sono passati
oltre dodici decadi dai patti di fratellanza, dalla scapigliatura
repubblicana, dall’economia associazionista, ed oggi ancora il nostro
Partito può fregiarsi, senza peraltro essere smentito da chicchessia,
di essere il più antico tra le formazioni politiche italiane. Certo
che si, dal 1885 ad oggi, la società italiana è profondamente mutata,
ed anche il P.R.I. non è più quello che aveva posto al primo punto del
suo programma la forma repubblicana dello Stato. Nato come partito
formato da piccoli coltivatori, mezzadri, artigiani e piccoli
funzionari statali, in alcune regioni particolarmente ostili al potere
papale e regio, come la Romagna, le Marche, il Lazio e la Sicilia,
presto divenne un partito di respiro nazionale, in cui militavano anche
operai, impiegati, imprenditori ed intellettuali, assieme a qualche, se
pur minima, presenza di militari di carriera. La crescita delle
attenzioni verso le tematiche mazziniane e risorgimentali è sempre
stata vivace e penetrante, nelle variegate categorie che nel corso dei
decenni si sono andate formando nella società italiana. Se, dal 1831 al
1848, l’esigenza primaria era l’Italia una, libera, repubblicana, dalla
prima guerra di indipendenza alla prima guerra mondiale l’impegno dei
molti “progressisti” si incentrò sullo stato sociale delle classi e
sulle rivendicazioni operaie, le quali, sì, erano state ben messe in
evidenza da Giuseppe Mazzini, ma che non avevano ne il tempo ne la
voglia di evolversi attraverso la cultura e le buone azioni prospettate
dalla democrazia. Questo determinò situazioni di autentico disagio
tra militanti formatisi al repubblicanesimo per eredità familiare o
frequentazioni di ambienti a loro compatibili e i nuovi aderenti,
attratti da generica simpatia o solidarietà per gli atteggiamenti di
attenzione ai problemi politici, economici e sociali, ma privi di
maturazione ideologica. Durante tutto il periodo dello stato
monarchico, pervicacemente tenuto dalla famiglia francese dei Savoia,
poco amata dalla quasi totalità degli italiani, capitava spesso di
sentire militanti del partito repubblicano che sostenevano tesi
classiste o liberiste, alcuni si dichiaravano libertari, incentrando la
principale ed accanita loro lotta sul problema dei rapporti stato –
chiesa. E’ in quei decenni che nascono gli antagonismi e le
contraddizioni; i sudditi giustamente reclamano diritti, riconoscendo
alla dinastia sovrana il tributo dei doveri cui si assoggettano, e
quasi non si accorgono di assumere posizioni in netto contrasto con la
dottrina storica del P.R.I. , che non ha dogma univoci, come la presa
del potere da parte delle masse operaiste predicata dal marxismo, ne la
fede necessaria a credere in redenzioni ultraterrene, come il clero
asserisce.. Il P.R.I. non ha schemi prefissati, manifesti da divulgare,
testi sacri da esporre a laudazione, non presuppone schemi prefissati,
regolamentazioni utopistiche, meccanicismi deterministici: sotto questo
aspetto il P.R.I. è il vero erede della grande polemica tra Mazzini e
Bakunin e prende le distanze dai tanti seguaci di Marx e Engels. Ovviamente
il P.R.I. una sua dottrina ce l’ha, eccome! Non si tratta comunque di
utopia solitaria e agguerrita come quella social comunista, ne tanto
meno della rassegnata vocazione al martirio di chi crede che la
sofferenza terrena sia il viatico per il futuro celestiale della post
mortem, bensì del maturato convincimento che una preparazione
culturale, impermeata sulla conoscenza ed il progresso scientifico,
costituisca la base, in un ambito storico geografico quale quello
italiano, per il benessere di una comunità integrata. E’ divenuto
luogo comune tra gli storici definire la prima guerra mondiale
combattuta sul fronte del Carso, sull’Isonzo e sul Piave, come “ quarta
guerra di indipendenza”, tagliando corto, con questa lapidaria
definizione, ai disagi delle popolazioni della Corsica, dell’Istria, e
delle altre numerose zone dove forte è l’identità italiana. I
carbonari, gli aderenti alla Giovine Italia, i Martiri di Belfiore, i
fratelli Bandiera, Mazzini e il giovane Garibaldi si erano fatti tutti
un’idea diversa di come dell’Italia, una, libera e quindi repubblicana
e nel 1919 ancora non c’era ne il tempo ne la voglia di prospettare ai
più, e quindi raggiungere democraticamente questo obiettivo. Scrisse
Giuseppe Tramarollo, mitico e ineguagliabile presidente, nel periodo
tra il 1970 e il 1980 della Associazione Mazziniana Italiana, che per
tal motivo era componente d’onore del Consiglio Nazionale del Partito
che quella distinzione faceva del partito fondato da Giuseppe Mazzini
“… una formazione che può trovare similarità, ma non identità fuori
della penisola. Per il P.R.I. non ci sono possibilità di adesioni
dottrinarie e disciplinari come la internazionale socialista o quella
liberale o quella cristiana, per non parlare del rapporto
internazionalista dei partiti comunisti. Al Parlamento Europeo di
Strasburgo i deputati repubblicani, dopo aver aderito, per necessità di
collocazione, al partito socialista, hanno potuto benissimo aderire a
quello liberale, trovandosi, però, parimenti a disagio. Questo fa
del P.R.I. una formazione storica, e non storicista, estremamente
diffidente delle ricette universali valide per tutti i tempi e per
tutti i paesi; viene da qui la critica mazziniana al socialismo
utopistico anglo tedesco francese che è ben sintetizzata
nell’avvertimento ai delegati del Congresso di Roma del 1871 delle
Società Operaie , da cui uscì il celebre Patto di Fratellanza, che è la
prima organizzazione nazionale del lavoro italiano:….. ^^ Se
l’emancipazione operaia è universale, le diverse condizioni dei popoli
fanno diversi i modi e a ciascun popolo appartiene essenzialmente il
segreto della scelta di quei modi^^. Riconosce però che solo nella
fase della trasformazione dei sistemi, utili alla perdita dei poteri
monarchici e clericali, con l’avvento della democrazia e della
tecnologia, che sono prodotti della cultura e della ricerca
scientifica, la pregiudiziale del territorio e della popolazione ivi
cresciuta resti valida. Bisogna diffonderlo a chiare lettere che
fu Giuseppe Mazzini ad intuire che solo per un determinato lasso di
tempo la storia umana sarebbe stata determinata dal concetto etico
politico delle nazionalità., cioè in volontà politiche definite
linguisticamente, etnicamente, territorialmente…. “ La Patria sacra, oggi, sparirà forse un giorno, quando ogni individuo rispecchierà in se la coscienza dell’umanità”. Ancor
oggi, in piena globalizzazione, e lo dimostrano le recenti vicende
della decolonizzazione e de il sorgere dei paesi denominati “terzo
mondo”, la nazionalità dei popoli è ancora viva e vitale, con le sue
degenerazioni come nazionalismo, imperialismo, razzismo. Nella
disgregazione dell’imperialismo sovietico forte è stato il ruolo, quasi
sempre vincente, della nazionalità, che mai era stata domata dal
bolscevismo russo, che in settant’anni di potere assoluto aveva
praticato un vero e proprio genocidio linguistico, oltre che umano. Mazzini,
dunque, aveva disconosciuto il potere in mano alla chiesa, senza mai
rinnegare Dio, cui soleva coniugare i termini Patria e Famiglia, ed
ancora non accettava i fermenti internazionalisti, riconoscendo al
contempo con l’intuizione della Terza Roma e La Giovine Europa, i cui
postulati già presagivano l’abbattimento dei confini. Terzo
carattere del repubblicanesimo è il “laicismo”, che non significa
affatto anti clericalismo, divieto a svolgere e divulgare gli
insegnamenti religiosi, ma presa di distanza tra i problemi dello
spirito e la gestione della società civile; il Campanile per nutrire
l’anima e la Torre Civica per custodire al meglio la persona fisica,
secondo la tradizione umanistica classica. All’opposto della concezione laica dello stato c’è il modello confessionale. Confessionali
sono l’attuale stato italiano, come quello spagnolo, confessionali sono
gli stati arabi, che fondano la società civile sul diritto cranico,
confessionali sono i paesi marxisti, che hanno una pedagogia, una
estetica, una morale, prettamente di stato. L’ideale repubblicano
laico è quello dell’articolo 7 della Costituzione Repubblicana Romana
del 1849 che recita: “ Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio
dei diritti civili e politici”. Anche il 1° emendamento della
Costituzione U.S.A. è per noi positivo: “ Il Congresso mai potrà fare
alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione, tanto meno
proibirne il libero culto”. Pertanto ribadiamo con fermezza che il
laicismo professato dal P.R.I. non è indifferenza di fronte alla
esigenza religiosa dello spirito umano; questo atteggiamento nasce
invece da una concezione religiosa della vita umana, che rispetta la
personalità nei suoi diritti individuali ( libertà civili) e nelle
formazioni sociali ( famiglia, partito, associazione, chiesa). Dalle
cose dette fin qui, allora, il P.R.I. è un partito mazziniano? Solo al
Vate si ispirano tutti coloro i quali in questo partito operano? Certo,
nella cultura repubblicana in alta considerazione sono tenuti gli
insegnamenti mazziniani, ma come ben sanno i tanti che in questo
partito militano, nel P.R.I. è ben presente l’illuminismo di Cattaneo,
così come non sono mai stati cestinati i contributi di Bovio con il suo
idealismo, il positivismo di Ghisleri e Conti, il patriottismo
militaresco di Pacciardi. Se si riconosce la funzione portante del
Mazzini per l’unità d’Italia, e si è laici e democraticamente portati
al confronto culturale delle idee, oltre che favorevoli alla
divulgazione ed allo sviluppo della ricerca scientifica, si può
benissimo essere repubblicani. Non è invece possibile essere
repubblicani del P.R.I. e marxisti, repubblicani e anarchici, come
invece è possibile essere repubblicani e credenti, facendo fare al
cervello un sano lavoro di selezione con il sale del ragionamento. Un
altro concetto respinto dal repubblicanesimo italiano è quello di
sovrastruttura: diritto, morale, arte non sono sovrastrutture
dell’unica determinazione economica, ma categorie universali e
permanenti, anche se i contenuti variano secondo una precisa evoluzione
storica. Nell’ambito di questa concezione antimaterialistica,
antideterministica, antimeccanicistica c’è ampio spazio per il
liberalismo economico di Cattaneo, come per molti postulati del
socialismo democratico nord europeo. Contro il concetto totalitario :
“Tutto nello stato, tutto per lo stato, nulla contro lo stato”, il
repubblicano contrappone il motto mazziniano: “ Tutto per
l’associazione nella libertà”. Secondo l’etica repubblicana non è
l’economia la forza trasformatrice del mondo ma l’educazione e la
conoscenza, entrambe incentrate nel sistema scolastico prima e nelle
forme associative ( circolo, partito, sindacato) e istituzionali ( enti
locali, legislazione statale, pubblica e privata gestione delle
risorse. L’educazione scolastica resta fondamentale e spetta allo
stato, almeno nella fascia dell’obbligo, per formare i futuri cittadini
ed abituarli a capire il mondo che li circonda. Possiamo dunque
concludere che il P.R.I. è l’opportunità della cultura laica per il
senso dello stato e garanzia primordiale, perché senza repubblica non
c’è piena democrazia, non c’è piena libertà, non c’è progresso sociale,
non si risolvono i disagi civili e le problematiche di sviluppo del
mezzogiorno. Quale funzione può avere oggi il P.R.I.? Esiste una
continuità di comportamenti dei partiti politici italiani sul proscenio
partitico; tuttora il consenso viene ricercato secondo il principio del
voto di scambio. Il cittadino elettore domanda soddisfazioni: la
promozione nel posto di lavoro, l’aumento di stipendio, la pensione,
l’occupazione dei rampolli, la licenza edilizia, la pratica di condono,
il posto al ricovero per l’anziano genitore, e le mille e mille altre
soluzioni ai problemi di tutti i giorni. E le segreterie politiche si
organizzano e promettono l’interesse e la probabile soluzione. Il
P.R.I. offre agli elettori la possibilità del “ voto della ragione”
come Giovanni Spadolini definiva il consenso che al P.R.I. arrivò nel
primo lustro degli anni “80”, quando venne superata la vetta altissima
del 5%. Già Ghisleri, Conti, Pacciardi e La Malfa avevano
identificato per il P.R.I. una funzione illuministica, contro ogni
genere di fanatismo e ogni minaccia all’unità nazionale. Ghisleri
diceva che “…il P.R.I. è depositario di una dottrina più culturalmente
avanzata perciò liberatrice ed antagonista di quella marxista e di
quella cattolica”, ponendolo in prima linea contro il male maggiore di
oggi, che è quel modo di agire reso celebre dal principe di Lampedusa e
dal recente film Il Vicerè. Ricordate? Cambiare tutto per non cambiare
nulla. Brigare così, parlando di voler procedere a fare riforme, per
poi partorire sgangherate soluzioni a vantaggio dei soliti noti, non
porterà alcun vantaggio al Paese. Dall’una e dall’altra parte
delle sponde del bipartitismo si continua a parlare e a discutere
dell’aria fritta e del sesso degli angeli. Sta al Partito
repubblicano Italiano rompere ogni indugio e porre all’elettorato
risoluzioni al modello di società, di economia, di organizzazione dello
stato per l’energia, l’ambiente, il sociale, il diritto al lavoro e ad
una vecchiaia serena. Oltre che un patrimonio da salvaguardare abbiamo una reputazione da difendere!
Renato Traquandi
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