7 dicembre 2011
Il 25 dicembre prossimo rinascerà il quotidiano liberalsocialista l'"Avanti!": quello vero !
In quest'Italia della crisi, di totale spaesamento e sfiducia nei
confronti della politica (a scrivere è uno che non va più a votare da
anni, non a caso), ecco almeno una buona notizia: nelle edicole tornerà
il quotidiano l'"Avanti!".
L'"Avanti!", sì, quello senza l'apostrofo, l'originale ed unico giornale
di cultura socialista diretto da Leonida Bissolati ed uscito per la
prima volta nel 1896. L'unico e vero "Avanti!" titolato ad essere tale,
senza cammelli, cammellate, padrini o padroni di sorta.
L'"Avanti!" sarà organo indipendente dai partiti e ciò ce lo rende ancor
più simpatico. L'"Avanti!" sarà diretto da Rino Formica e sarà rivolto
ai socialisti di tutti gli schieramenti politici. In particolare ai
senza tessera.
L'"Avanti!" rinascerà dunque ufficialmente il 25 dicembre prossimo, grazie all'apporto ed impulso della rivista
liberalsocialista "Critica Sociale", diretta dall'ottimo Stefano
Carluccio ed inizialmente sarà inviato agli abbonati della Critica. Poi,
con l'anno nuovo, sarà presente anche nelle maggiori edicole italiane.
Ora, come ho scritto a Carluccio nel complimentarmi con lui per l'ottima
iniziativa, io non sono socialista. Sono un repubblicano mazziniano,
già iscritto al PRI ed abbonato da una vita a "Critica Sociale".
C'è un filo rosso mazziniano e garibaldino che lega la cultura
repubblicana e liberaldemocratica a quella socialista. Si chiama
appunto: cultura liberalsocialista, ovvero quella per la quale non c'è
autentica giustizia sociale senza libertà: civile ed economica.
E' un filo rosso che parte da molto lontano, dal Partito d'Azione di
Giuseppe Mazzini alle Camicie Rosse di Giuseppe Garibaldi, passando per
le prime Società Operaie di Mutuo Soccorso mazziniane e successivamente
mutuate anche dai primi socialisti, sino alle lotte sociali di Filippo
Turati ed Anna Kulisioff ed alla giunta capitolina di Ernesto Nathan.
Passando dunque per il Secondo Risorgimento, la Resistenza, i fratelli
Rosselli, Matteotti, la lotta al nazifascismo e dunque al comunismo. Una
storia che unisce il repubblicano Randolfo Pacciardi al socialista
Bettino Craxi, entrambi promotori di una Repubblica presidenziale
anti-casta ed anti-partitocratica.
E' antica quanto attualissima la storia dei laici, dei repubblicani, dei
liberali e dei socialisti. E' una storia fatta di emancipazione delle
classi lavoratrici e diseredate; di battaglie per i diritti civili quali
divorzio ed aborto; di lotta allo statalismo democristiano e comunista
in nome della libertà economica e sociale degli individui.
E' una storia che i più giovani dovrebbero non solo conoscere, ma
financo portare avanti. Specie in quest'epoca in cui la vera origine
della crisi sta proprio nella crisi dei valori e degli ideali.
Dal '93 ad oggi abbiamo assistito, in Italia, alla totale scomparsa dei
partiti democratici, che sono stati sostituiti con altri non solo non
democratici, ma finanche privi di contenuti, di ideali, di progetti.
Il berlusconismo e l'antiberlusconismo, figli entrambi del
cattocomunismo e del clericofascismo degli anni '70, hanno dominato la
scena politica di questo Paese per troppo tempo.
E' il momento di tornare alle idee ed ai contenuti. Ai fatti concreti.
All'unità dei laici, dei liberali, dei repubblicani, dei radicali e dei socialisti tutti, ad esempio.
Una proposta che rimase inascoltata all'interno del PRI e che feci circa
un anno fa era quella di rifondare l'Unione Democratica Nuova
Repubblica di Pacciarti, quale componente politico-culturale per
elaborare un discorso più ampio.
Un discorso che prevedesse i seguenti punti programmatici concreti:
riforma della legge elettorale in senso Presidenziale per il governo e
proporzionale pura per il Parlamento; riduzione delle imposte ad un
massimo di tre aliquote fiscali ed innalzamento della no tax area;
abolizione degli enti inutili quali Province, consorzi e comunità
montane; privatizzazione del carrozzone Rai; introduzione del matrimonio
omosessuale; legalizzazione della cannabis e dei suoi derivati;
separazione delle carriere dei magistrati e spoliticizzazione del CSM;
riduzione degli stipendi di Deputati e Senatori del 50 %.
Un discorso programmatico, io credo, laico, liberalsocialista e libertario.
Ecco, io penso che un discorso di questo tipo possa essere fatto anche e
soprattutto all'interno di un giornale libero come potrebbe essere il
nuovo "Avanti!". Un giornale il più aperto possibile alle diversità
culturali dei laici e con lo scopo ultimo di poter, fra qualche tempo,
incidere nell'orientamento politico nazionale.
Ora, forse tutto cià può sembrare ambizioso e lo è, in effetti.
Proviamoci almeno.
Nel mio piccolo, cari amici di "Critica Sociale", cari Stefano Carluccio e Rino Formica, sarò con voi.

Luca Bagatin
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4 aprile 2011
Per una riforma in senso liberaldemocratico della nostra Costituzione
Ho letto, sull'ultimo numero de "L'Azione Mazziniana" di marzo, un
comunicato nel quale l'Associazione Mazzinana Italiana vorrebbe
difendere l'Articolo 41 della Costituzione da qualsiasi modifica.
Personalmente, da repubblicano mazziniano, sono perplesso relativamente a prese di posizioni politiche
dell'AMI, che dovrebbe essere e rimanere un'associazione indipendente
dalla politica nazionale ed incidere piuttosto nella cultura e nella
diffusione del pensiero di Giuseppe Mazzini, così poco conosciuto.
Nella fattispecie, la difesa ad oltranza dell'Art. 41 non mi ha mai
visto concorde. Lo ritengo, assieme agli Articoli 42 e 43 della
Costituzione, fortemente lesivo della libera concorrenza e di una
cultura pienamente liberaldemocratica.
La Costituzione italiana, purtroppo, risente solo in minima parte della
democratica e liberale Costituzione della Repubblica Romana di Mazzini,
Saffi ed Armellini del 1849. La carta costituzionale votata nel dopoguerra,
purtroppo, risente moltissimo della cultura cattocomunista che le forze
reazionarie Dc e Pci vollero purtroppo imprimerle.
E ciò sin dall'Articolo 1 che vuole l'Italia una Repubblica fondata sul
lavoro e non già, come invece proponeva Ugo La Malfa, fondata sui
"diritti di libertà e del lavoro" (il lavoro è un diritto, non un dovere
come nell'ex Unione Sovietica e la libertà è diritto individuale che è
bene sempre rimarcare).
L'Articolo 41 è fortemente ambiguo. Garantisce la libera iniziativa
privata, ma al contempo ribadisce l'intervento pubblico in economia,
senza garantire nel nostro Paese un'effettiva concorrenza. Che è invece
aspetto che, per un Paese che guarda all'Occidente liberale, andrebbe
rimarcato proprio nella nostra carta costituzionale.
Gli articoli 42 e 43, invece, parlano degli espropri di Stato che,
ribadisco, andrebbero il più possibile limitati proprio per non ledere
la proprietà privata che è un bene fondamentale per ciascun cittadino
libero.
In tal senso ritengo, nello spirito liberaldemocratico che ha animato i
Padri Costituenti di estrazione repubblicana e liberale, che la
Costituzione andrebbe rivista proprio nell'ambito di quegli articoli
(compreso l'Articolo 7 che ha introdotto i fascisti Patti Lateranensi)
di impronta arcaica e comunque di ispirazione cattocomunista, illiberale
e dunque conservatrice.

Luca Bagatin
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13 aprile 2010
Le riforme liberali di cui l'Italia avrebbe bisogno
Si fa un gran parlare - in questo periodo post-elezioni regionali - di
riforme istituzionali come ad esempio l'introduzione di un nuovo sistema
elettorale che preveda il semipresidenzialismo alla francese. Verrebbe
da chiedersi che senso abbia. O, meglio, avrebbe sicuramente senso
cambiare il sistema elettorale, ma di certo il "semipresidenzialismo
alla francese" non risolverebbe alcun problema. Il sistema elettorale
andrebbe innanzitutto cambiato, ma per garantire la massima
rappresentanza elettorale. In particolare di quell'elettorato che -
al 40 % - oggi si astiene. Rappresentanza che, da quando sono stati
introdotti antidemocratici sbarramenti e sono state negate le preferenze, è di fatto non più garantita in alcuna competizione
elettorale. In secondo luogo le riforme di cui si dovrebbe
parlare sono ben altre. Le riassumerò qui. Per tentare di uscire
un tantino dalla crisi nella quale anche l'Italia è inesorabilmente
incappata, occorrerebbe
liberalizzare il mercato del lavoro da una parte e fornire congrui
ammortizzatori sociali a chi un lavoro non ce l’ha. Seguendo però il
modello della Gran Bretagna e non quello dell’assistenzialista Svezia. Le
piccole e medie imprese dovrebbero essere le prime ad essere favorite
(e non già la grande industria), arrivando finalmente a proporre una
radicale riforma fiscale che preveda l’aliquota unica al 20 % per
tutti. Stop ad altre imposte, dunque.
E i lavoratori potrebbero essere aiutati abolendo una volta per tutte le
trattenute in
busta paga.
Via Irap e Irpef, ordunque: aliquota unica per tutti e innalzamento
della no tax
area.
Ciò, ovviamente, comporterebbe una drastica riduzione della spesa
pubblica a partire dal
taglio immediato di enti inutli quali le Province, i consorzi e le
comunità montale e l'accorpamento dei
Comuni.
E si dovrebbe pensare anche ad una riforma delle pensioni che preveda un
sistema a
capitalizzazione.
Veniamo poi alla giustizia. E' necessario separare le carriere dei
magistrati e
stabilire che, quando un giudice sbaglia, paga di tasca sua e non deve
essere la
collettività a dover risarcire per le colpe dello stesso. Ciò avviene
in tutti i Paesi civili e democratici, non si comprende perché in
Italia le cose vadano diversamente.
Sui diritti civili, poi, si comprenda, una volta per tutte, che la vita
appartiene al singolo: che può decidere di vivere o meno, a sua
discrezione.
Lo Stato non è una “balia-mamma” che ha la potestà sui suoi cittadini,
come crede certo confessionalismo di casa nostra. L'anticlericalismo,
dunque, a destra come a sinistra, non dovrebbe essere visto come un
qualche cosa di "ideologico", ma sinonimo di
laicità, democrazia e libertà contro la prevaricazione di chi ritiene
che la sua
fede o il suo “dio” possano essere anteposti alle leggi di uno Stato
laico, liberale e dunque leggero. Le vere riforme di cui questo Paese avrebbe dunque bisogno sono
inevitabilmente estreme, ma non estremiste. Riforme moderate in
quanto liberali, ma estreme in quanto necessarie a rivoltare "la casta"
come un calzino per garantire finalmente chi non è mai stato garantito e
per togliere - una volta per tutte - i privilegi di coloro i quali si
riempiono la bocca di "riforme" inutili o mai attuate sulla carta.
 Luca Bagatin
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29 gennaio 2010
MARIO PANNUNZIO: GRANDE LIBERALE DEL NOVECENTO. Intervista di Luca Bagatin al prof. Pier Franco Quaglieni
 da sinistra: Mario Pannunzio, Arrigo Olivetti, Nicolò Carandini Quest'anno ricorre il centenario della nascita di Mario Pannunzio, grande giornalista rigoroso e liberale che fondò due storiche testate: "Risorgimento Liberale" ed "Il Mondo". "Risorgimento Liberale", fondato nel 1944, fu organo del Partito Liberale Italiano e fu il primo giornale in Italia a schierarsi apertamente - oltre che contro il totalitarismo fascista e nazista - anche contro quello comunista e stalinista e a denunciare la tragedia delle foibe. Quanto a "Il Mondo", fondato nel 1949, mai testata giornalistica fu più laica e liberale di questa, nonostante tale esperienza durò solo diciassette anni. Diciassette anni di battaglie libertarie e riformatrici in un’Italia da sempre (oggi ancor più di ieri, peraltro) pasticciona, burocratica, clericale, socialcomunista e socialfascista. Diciassette anni di denunce di un "sistema" corrotto e corruttore fatto di sottogoverno delle maggioranze (che videro protagonisti Dc e Pci in primis); di ingerenza vaticana (per quanto allora fosse in qualche modo arginata dalla Dc alla quale va dato comunque il merito di essere un partito di gran lunga più laico degli attuali Pd e PdL) e di connubio fra mondo politico e mondo economico (aspetto che oggi ha raggiunto l’apice al punto che è l’economia – guidata da un capitalismo straccione, antiliberista ed antiliberale - a governare la politica !). E così a "Il Mondo", collaborò la créme del giornalismo liberaldemocratico e liberalsocialista italiano. Pensiamo ai padri del liberalismo italiano Benedetto Croce e Luigi Einaudi, agli azionisti Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini e Aldo Garosci; al liberista Panfilo Gentile, ai repubblicani Ugo La Malfa ed Adolfo Battaglia. E tutti contribuirono a creare le basi per una cultura "alternativa" e "dell’alternativa" al monolitismo conservatore democristiano e marxista che permeava la società italiana da poco uscita dal fascismo, di cui proprio democristiani e marxisti furono i diretti continuatori sotto il profilo ideologico, politico e culturale. E così "Il Mondo" ospitò fra le sue colonne intellettuali del calibro di Orwell, Thomas Mann, Ennio Flaiano e Alberto Arbasino, nonché, dal 1955, organizzò i "Convegni del Mondo" come risposta laica ai problemi che attanagliavano l’Italia di quegli anni (ed, è il caso di dirlo, l’Italia di questi anni): dal rapporto fra Stato e Chiesa al nucleare; dalla lotta ai monopoli alla questione della scuola sino all’unificazione europea di cui "Il Mondo" fu tra i più accesi sostenitori. Mario Pannunzio, padre de "Il Mondo", fu rarissimo esempio di professionismo giornalistico: egli leggeva personalmente ogni singolo articolo, si occupava personalmente della stesura dei titoli e delle didascalie nonché della scelta delle foto e dell’impaginazione. Ogni settimana ne uscive così un giornale, a detta anche dei maggiori critici dell’epoca, "elegante", "raffinato" ed "europeo". Certo l’indipendenza dal potere economico e politico del giornale costò cara al punto che esso dovette chiudere prematuramente nel ‘66 con grande felicità di tutti i suoi denigratori (missini e comunisti in primo luogo). Certo "Il Mondo" lasciò il solco nel mondo laico. Esso fu il primo a teorizzare la costituzione di una Terza Forza comprendente liberali, repubblicani, socialisti e socialdemocratici capace di contrapporsi alla Dc ed al Pci (ricordiamo in questo senso l’articolo "Qualche sasso in capponaia" di Gaetano Salvemini, pubblicato nel dicembre del 1949). Grazie al contributo ideale di questo piccolo-grande settimanale liberale e attraverso una scissione del Partito Liberale Italiano, nacque il Partito Radicale dei Liberali e dei Democratici, il cui simbolo era la Minerva con il berretto frigio, e che recuperò la tradizione risorgimentale di Felice Cavallotti e prima ancora quella di Giuseppe Mazzini e le cui battaglie politiche si concretizzarono nella lotta alla speculazione edilizia, nella lotta ai Poteri Forti (in particolare negli intrecci fra la Dc e la Federconsorzi) e nelle battaglie per uno Stato ed una scuola laica e pubblica. La battaglia radicale, rarissimo esempio di volontà di modernizzazione e di occidentalizzazione del nostro Paese, rimase tuttavia puro velleitarismo ed "Il Mondo" si trovò costretto a ripiegare nella teorizzazione del Centro-Sinistra (l’unico vero Centro-Sinistra che l’Italia conobbe mai) attraverso la proposta di far entrare il Psi nella coalizione di Governo, all’indomani della Rivoluzione d’Ungheria del ‘56 in cui esso aveva condannato lo stalinismo e si avviava verso l’abiura del marxismo). Il resto, è Storia più recente. Con la falsa rivoluzione giustizialista di Tangentopoli che ha spazzato via i partiti laici, la Dc, quell'unico vero Centro-Sinistra. Mario Pannunzio appare dunque da quasi tutti dimenticato, anche nel suo centenario. Ma perché mai ? Forse per la scomodità delle posizioni affrontate dagli organi di stampa da lui diretti. Forse per il rigore delle proposte politiche che egli stesso lanciava, anche per mezzo dei suoi ottimi collaboratori. Vediamo di approfondire la figura di Pannunzio attraverso l'intervista amichevole che ho voluto fare al prof. Pier Franco Quaglieni, docente e saggista di storia contemporanea e fondatore, assieme ad Arrigo Olivetti ed a Mario Soldati - amici e collaboratori di Mario Pannunzio - del "Centro Pannunzio" (www.centropannunzio.it) di cui è anche attuale Presidente e che oggi è l'unica istituzione che tiene vivo il ricordo di questo grande del giornalismo e della cultura laica in Italia.
  Il prof. Pier Franco Quaglieni e una prima pagina del settimanale "Il Mondo" Luca Bagatin: Il Centro Pannunzio si definisce, fra le altre cose, una libera associazione anticonformista. Che cosa intendete per cultura anticonformista oggi ?
Pier Franco Quaglieni: Per anticonformista si intende libera da pregiudiziali ideologiche e confessionali. Una cultura laica, diceva Pannunzio, è una cultura senza aggettivi. Anzi, noi andiamo oltre: ad un certo livello, la cultura è solo cultura e basta. La sottocultura è quella invece che, per giustificarsi, deve suonare il piffero per la rivoluzione per dirla con Vittorini, e trasformarsi in guardia svizzera del Papa… Negli della devastazione sessantottina c’è stato poi il conformismo dell’anticonformismo, cioè il rovesciamento sistematico anche di alcuni valori condivisi che sono fondanti di una società, che, come diceva Croce a De Gasperi, potrebbe essere “laica non laica che sia”.
Luca Bagatin: Quanto ha pesato la cultura clericale e comunista nella chiusura definitiva di un settimanale come "Il Mondo" ?
Pier Franco Quaglieni: Ha pesato certo il disprezzo clericale verso la cultura laico-liberale del “Mondo” da parte dei cattolici integralisti: Scelba parlava di “culturame laico”;così come ha pesato l’attacco forsennato contro i “visi pallidi” del “Mondo” dei comunisti, dei loro compagni di strada, degli “utili idioti” che, spiace doverlo ricordare, dopo un periodo trascorso al “Mondo” hanno trovato più comodo trasmigrare sotto le bandiere del Pci. Ma Pannunzio nel ’66 sentì l’aria dell’irrazionalismo,del sociologismo, dell’ideologismo che stava per arrivare e che scoppiò già nel 1967 in alcune università e si evidenziò in tutta la sua portata negativa nel 1968,l’anno in cui Pannunzio morì ,volendo - lui laico- come compagno dell’ultimo viaggio il grande libro di Alessandro Manzoni che i contestatori avrebbero voluto bruciare in piazza senza leggerlo perché catto-borghese e moderato.
Luca Bagatin: Qual è – secondo te – il modo migliore per ricordare Mario Pannunzio ?
Pier Franco Quaglieni: Scrissi sulla “Nuova antologia” di Spadolini nel 1978 un lungo saggio in cui esaminai il silenzio dei libri di testo su Pannunzio ed anche sul “Mondo”. Quel saggio, per l’autorevolezza della rivista, ebbe qualche effetto: in “Guida al Novecento”, Salvatore Guglielmino corresse il tiro. Persino Asor Rosa scrisse del “Mondo”, ma lo attribuì, sbagliando, alla cultura azionista. Oggi siamo tornati alla quasi totale ignoranza . Un noto critico letterario - sorvolo sul nome - in una monumentale storia della letteratura i venti tomi ha citato “Il Mondo” (non di Pannunzio, ma quello che ne riprese la testata negli anni '70, senza neppure lontanamente riprenderne la tradizione civile e culturale) per citare un articolo ivi pubblicato da Pier Paolo Pisolini, uno scrittore lontanissimo, anzi estraneo totalmente alla cultura di Pannunzio. Speriamo che il centenario della nascita di Pannunzio smuova le acque anche se sono dubbioso. Temo che la proposta avanzata dal Centro Pannunzio di digitalizzare “Risorgimento liberale “ e “Il Mondo” e di mandarlo in rete al fine di consentire a tutti di poterlo leggere senza intermediazioni interessate ed oracolari di Scalfari e nuovi altri “scalfarini” alla Teodori, dicevo temo che la proposta avrà difficoltà a passare perché ci sono persone che vogliono cogliere il centenario per farsi belli a spese di Pannunzio con passerelle mediatico-convegnistiche destinate a durare lo spazio di un mattino. Chi ama Pannunzio per davvero, dovrebbe usare il centenario per incentivare la conoscenza della sua opera e l’avvio di studi seri in merito.
Luca Bagatin: Che cosa ci rimane, oggi, dell'eredità di Mario Pannunzio e delle battaglie politiche, economiche ed ideologiche degli "Amici del Mondo" ?
Pier Franco Quaglieni: Non rimane quasi nulla.Pannunzio ha vinto sul terreno culturale, su quello politico è stato un vinto. E’ inutile nasconderlo in modo ipocrita. Il Paese forse era immaturo,ma il disegno della Terza forza non era praticabile. E Malagodi, Segretario del PLI negli anni '50 e '60, dobbiamo aggiungere, non era il mostro che alcuni dipingevano. Rimane un grande magistero etico-culturale a cui ci siamo richiamati nel 1968 noi del Centro Pannunzio rispetto di pannunzini da centenario che per quarant'anni anni hanno ignorato o tradito Pannunzio.
Luca Bagatin: A tuo parere, vi è lo spazio - oggi - per un'esperienza politico-editoriale come quella de "Il Mondo" di Pannunzio ?
Pier Franco Quaglieni: Assolutamente no. Oggi il giornalismo si è involgarito anche perché i lettori si sono involgariti. La televisione ha delle grosse responsabilità in merito a questo processo degenerativo. Un giornale elegante, ben scritto come quello di Pannunzio avrebbe oggi un numero di lettori inferiore a quello degli anni ’50. Spiace doverlo dire, ma è così. Una scuola post- sessantottina che ha cresciuto generazioni di ignoranti è la seconda o forse la prima responsabile insieme alla Tv. L’Italiano usato nelle pagine del “Mondo” sarebbe incomprensibile ai più. Oggi sarebbe un giornale ancora più elitario.
Luca Bagatin: E' nota la tua polemica con Eugenio Sclafari, fondatore del quotidiano "La Repubblica", il quale si ritiene erede della tradizione pannunziana e così il suo giornale. Che cosa pensi di lui e del gruppo editoriale del quotidiano che ha fondato ?
Pier Franco Quaglieni: Io ritengo Scalfari un epigono abusivo del “Mondo” per dirla con Battista, ma riconosco in lui il grande giornalista-manager che non fu Pannunzio. Scalfari riuscì a costruire una carriera brillante ed altamente remunerativa sul piano economico. Pannunzio- si può dire – morì povero perché non badò mai al successo ed agli agi materiali, ma alla sua indipendenza di giudizio.
Luca Bagatin: Mario Pannunzio, a tuo parere, avrebbe previsto un fenomeno così antidemocratico e forcaiolo come la presunta "rivoluzione di Tangentopoli" ?
Pier Franco Quaglieni: Pannunzio era un garantista: lo dimostra lo scandalo che riguardò il laeder democristiano Attilio Piccioni a causa del figlio accusato si essere coinvolto nella vicenda Montesi. Me lo ricordava spesso Saragat durante i nostri colloqui. Pannunzio rifiutò sempre di fare dello scandalismo su Piccioni come invece fecero i comunisti ed i fascisti. Pannunzio io penso che si sarebbe schierato negli anni di Tangentopoli contro i vari Pool che architettarono un vero colpo di Stato per via giudiziaria. Pannunzio era un uomo della Prima Repubblica di cui denunciò il marcio con coraggio in anni difficili, ma di cui si sarebbe eretto a difensore perché la Prima Repubblica aveva ricostruito l’Italia dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale.
Luca Bagatin: E' possibile, a tuo parere, una rinascita dell'area laica e liberaldemcoratica, nella Prima Repubblica rappresentata da PRI, PLI, PSI, PSDI e Radicali ?
Pier Franco Quaglieni: Io auspico la rinascita (o meglio la nascita) di un’area laico-liberale, ma la ritengo molto difficile. Fino a poco tempo fa tutti si dicevano liberali a destra ed a sinistra. Oggi non c’è più nessuno che si dica liberale e la contesa tra liberali veri o falsi è finita. Non è un buon segno. La prospettiva storico-politica è all’insegna di due blocchi di potere ,espressione di un’era post-ideologica e pasticciata. Il passaggio ad una Terza Repubblica è difficile e problematico. I laici ed i liberali dovrebbero impegnarsi in questa direzione. Laici e liberali minoritari ci sono in tutti gli schieramenti, anche nel PD bisogna andarli a cercare con il lanternino.
Luca Bagatin: Quali sono, secondo te - oggi - i partiti che maggiormente si richiamano all'esperienza de "Il Mondo" e che potrebbero essere davvero credibili nella ricostruzione di una forte area laica e liberaldemocratica ?
Pier Franco Quaglieni: Credo il PRI di Nucara e il PLI di De Luca. Ma io ritengo che la battaglia da fare sia prima una battaglia culturale, anche se la stessa battaglia culturale è resa difficile dai personalismi. Pensa a Piero Craveri che non è uno storico del Risorgimento che prima rifiuta e il giorno dopo accetta la presidenza del comitato nazionale per le celebrazioni a Cavour, fomentando polemiche che un nipote di Croce non dovrebbe neppure pensare. E’ anche questo un segno dei tempi. Neppure sul nome di Cavour si riesce a trovare un’intesa perché ci sono personaggi ormai paleo –politici che si scannano persino su Cavour. E non farmi aggiungere altro. Sicuramente è estranea alla tradizione pannunziana la Bonino che ha perso ogni connotato radical-liberale per convertirsi ad un trasformismo di stampo Doroteo, pur di mantenere il potere. epilogo davvero curioso per una donna che si battè per la 194. Nel guazzabuglio della sua coalizione elettorale laziale consiglierei alla Bonino di imbarcare anche Marrazzo: qualche voto potrebbe ancora portarlo.
Ringrazio di vero cuore l'amico Pier Franco Quaglieni, del quale condivido peraltro pressoché totalmente il pensiero.. Un pensiero libero ed indipendente come questo blog. E tale rimarrà negli anni a venire. In alternativa alla mediocrità ed alla mediaticità. Anche a costo di essere letto da pochi, pensanti, non rassegnati liberali ed anticonformisti che non hanno nulla da perdere, ma un futuro più civile da conquistare.
 Luca Bagatin
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4 novembre 2009
Per un serio progetto riformatore
 Condivido lo spirito dei molti laici - da Enrico Cisnetto a Fabio
Fabbri, da Giorgio La Malfa ad Enzo Cardone - che in questo periodo
sembrano rilanciare l'ipotesi di un terzo polo centrista, altrenativo a
Pd e PdL.
Condivido lo spirito politico, dico, ma non il merito. Ovvero sono più
che d'accordo rispetto alla necessità di una rinnovata forza politica
che metta al centro dell'agenda politica del nostro Paese la riduzione
del carico fiscale, l'innalzamento dell'età pensionabile, il rigore nei
conti pubblici ecc... nel pieno spirito Liberaldemocratico e
Liberalsocialista che ci ha sempre caratterizzati.
Il punto è che mi trovo in sincero imbarazzo quando sento dire che il
nostro intelocutore potrebbe essere Casini e la sua Udc. Mi sento in
imbarazzo non tanto e non solo perché le posizioni dell'Udc sui temi
relativi alla laicità dello Stato sono opposti ai nostri, quanto
piuttosto perché da Casini non ho mai sentito parlare delle vere
riforme di cui questo Paese ha urgente necessità.
A parte l'ormai trito e ritrito "bisogna aiutare le famiglie" che il
leader dell'Udc va proferendo da anni (che poi diciamo anche che Casini
per famiglia intende quella composta da un marito, una moglie
regolarmente sposati e relativa prole a carico...sic ! Un'idea arcaica
che ovviamente noi laici non abbiamo), non gli ho mai sentito dire ad
esempio: riduciamo la spesa pubblica improduttiva; aboliamo le
Province; le Comunità montane e così via.
Democristianamente, Casini, rincorre invece i consensi in libera uscita
da un per nulla credibile Pd (imbarcando persino Francesco Rutelli) e
conta anche di raccogliere quelli che usciranno o uscirebbero da un PdL
oggi troppo schiavo della Lega Nord.
Tutto ciò, sostanzialmente per dire che l'alternativa può partire
solamente da un elenco di temi che sino ad oggi il PdL peraltro ha
sempre sottoscritto, ma purtroppo mai attuato propro a causa dei
paletti posti dal conservatorismo della Lega Nord e del Ministro Tremonti.
Temi che sono appunto: riduzione delle imposte (sino a giungere
progressivamente ad un'aliquota unica del 20% per tutti ed
all'innalzamento della no tax area per i redditi più bassi); abolizione
delle Province e delle Comunità montane; riforma degli ammortizzatori sociali che garantisca chi ne ha realmente bisogno; separazione delle carriere dei
magistrati e spoliticizzazione del Consiglio Superiore della
Magistratura; privatizzazione del carrozzone Rai-Tv; aumento dei fondi
per la ricerca scientifica.
Temi non "eticamente sensibili" sui quali anche una forza moderata come
l'Udc potrebbe convergere e sostituirsi alla Lega Nord nella
maggioranza di governo.
Un partito come il nostro, quello Repubblicano, forte della sua
tradizione laica e di governo non potrebbe che concorrere nel favorire
questo processo riformatore.

Luca Bagatin
L'ottimo ed autorevole editorialista Enrico Cisnetto ha voluto rispondere alcuni giorni fa a questo mio articolo con il commento che segue e lo ringrazio:
Luca Bagatin appartiene a quella genia di laici che preferisce
l’assoluta marginalità politica in nome di una solitaria
rappresentazione delle proprie idee piuttosto che un ruolo vero nella
dinamica politica seppure al costo di qualche compromesso. Io no. Anche
perché nessuno ha mai pensato di entrare nell’attuale Udc, bensì di
ragionare con chi è disposto – e Casini è l’unico ad esserlo – a
costruire un nuovo soggetto che posto al centro del sistema politico
contribuisca in modo decisivo a ridisegnarlo, con questo facendo
nascere la Terza Repubblica. E siccome nella mia proposta è contenuta
una precisa indicazione metodologica sulle questioni etiche – devono
essere prerogative del parlamento e non far parte di programmi di
governo – ecco che il compromesso da fare con i cattolici, in questo
caso quelli raccolti nell’Udc, non è molto diverso da quello che Ugo La
Malfa e Spadolini fecero nella Prima Repubblica con i Dc per essere
loro alleati. Ma se Bagatin s’accontenta dell’attuale Pri…
 Enrico Cisnetto
Ringrazio davvero Enrico Cisnetto per il suo commento, ma a dire il vero ciò che ho scritto non dimostra affatto la mia mancata volontà nel compromesso, anzi. Dimostra più che altro una mia certa fiducia più nei confronti del PdL (nelle cui file i rappresentanti del Pri sono stati peraltro eletti) che dell'Udc. Udc che sino ad oggi non mi risulta aver proposto ancora nulla di concreto, ma comunque rimane forza indispensabile - in un prossimo futuro - per sostituire la Lega Nord nella maggioranza di questo governo. Non è pensabile, infatti, poter fare le riforme con partiti che remano contro di esse. La Lega Nord - nei fatti partito statalista, reazionario e nazionalista - ha dimostrato di non essere in grado non solo di riformare alcunché, ma nemmeno di governare.
L.B.
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26 marzo 2009
Per Antonio Martino il PdL non è un partito liberale
Sono d'accordo con il condirettore de “La Voce Repubblicana” Italico Santoro quando, nel suo articolo di fondo del 18 marzo scorso sul nostro giornale di repubblicani storici, afferma che al convegno di fondazione dell'Associazione Libertiamo – per un'anima libertaria nel PdL – ha avuto ragione Antonio Martino. Antonio Martino è un liberale della prima ora, figlio del grande ministro del PLI Gaetano Martino. Antonio Martino è stato fra i fondatori di Forza Italia ed ha tentato in tutti i modi di dare a quel partito un'anima liberale, libertaria e liberista. Con rislutati – invero – sostanzialmente deludenti. Martino, allo stesso convegno organizzato da Benedetto Della Vedova – come correttamente riportato da Italico Santoro - ha infatti rilevato come il PdL partito unico che sta per nascere: “somiglia al colbertismo, al fascismo, al socialismo, ma non al liberalismo”. Le prese di posizione del Premier Berlusconi e di suoi Ministri - francamente insospettabili - come Maurizio Sacconi sul “caso Englaro”, e più in generale sui diritti civili sui quali al momento il governo non ha fatto nulla (ancora sulla carta la proposta di Brunetta e Rotondi sulle coppie di fatto ribattezzata “Didore”), ma anche le posizioni di scarsa liberalizzazione del mercato del lavoro e dell'impresa, ci fanno infatti ritenere che la dose di libertà individuali ed economiche del e nel PdL siano scarsissime. Ci attendiamo, non a caso, più che un Partito Unico, una scissione che porti ad una fuoriuscita dei liberali doc. Lo stesso Della Vedova dovrebbe cominciare ad aprire gli occhi. Leader e cervelli liberi e pensanti, in quello che oggi è il PdL, sembrano infatti non mancare. Oltre al critico Gianfranco Fini, oggi si aggiunge anche Antonio Martino. E chissà che finalmente non ne nasca – nel prossimo futuro - un nuovo, autentico, Partito Liberaldemocratico di massa. Né di destra né di sinistra: semplicemente per le libertà degli individui.
 Luca Bagatin
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13 febbraio 2009
Il Congresso del PLI e il nuovo bipolarismo tutto da costruire
Il 20 – 21 e 22 febbraio prossimi si terrà il Congresso del Partito
Liberale Italiano, partito storico che fu del conte Camillo Benso di
Cavour, di Benedetto Croce, di Luigi Einaudi, di Giovanni Malagodi ed
altri. Anch'io, pur essendo di tradizione liberalsocialista e
mazziniana oltre che iscritto al PRI, mi sono permesso di votare e fare
campagna elettorale per il PLI alle scorse elezioni politiche. L'ho
fatto e lo rifarei certamente in mancanza del simbolo repubblicano
dell'Edera e di una componente laica e liberaldemocratica forte e
riconoscibile. L'ho fatto e lo rifarei perché non ho simpatia per –
come lo definisce il Segretario uscente del PLI stesso, Stefano De Luca
– questo bipolarismo all'amatriciana. L'ho fatto e lo rifarei perché
sì, Berlusconi ha fatto e sta facendo delle riforme interessanti e
liberali, ma assolutamente limitate e poi ha alleati come la Lega Nord
che queste riforme liberalizzanti le stanno frenando alla grande (si
pensi all'abolizione delle Province !). L'ho
fatto e lo rifarei ma, intendiamoci, anche per dare la sveglia ai
compagni Repubblicani ed ai Liberali del PdL che sarebbe ora che
costituissero una loro componente tale da contrapporsi ai conservatori
all'interno del calderone berlusconiano. Plaudo anche alla discesa
in campo di Arturo Diaconale - direttore di uno dei giornali con cui
collaboro con più piacere, L'Opinione delle Libertà - che ha deciso di
candidarsi alla segreteria del PLI in alternativa a De Luca e sostenuto
anche dall'ex radicale Marco Taradash. Per quanto Diaconale punti ad
un'alleanza formale fra PLI e PdL, cosa forse un po' difficile giacché
il PdL sta puntando a fagocitare tutti i partiti piccoli
anti-centrosinistra. Plaudo all'adesione al PLI di Paolo Guzzanti, giornalista di tradizione
liberalsocialista che ho sempre apprezzato moltissimo, e che ha deciso di abbandonare un partito di plastica come il PdL. Interessante
sarebbe una prospettiva di federazione fra forze Liberali, Repubblicane
e Liberalsocialiste anti-centrosinistra capaci di attirare personalità
laiche del PdL (e scontente della sua linea clericale) tali da
costituire un Polo Liberale, capace di puntare ad un 15-20 %
dell'elettorato e che si contrapponga ai conservatori ed ai clericali
in genere. Silvio Berlusconi non è eterno e, nonostante oggi sia
l'unico a mantenere un po' d'ordine nel suo schieramento politico e
capace di arginare le derive più destrorse, bisognerà pur pensare ad un
dopo. Un dopo che vedrà certamente ridotto ai minimi termini un Pd
ormai in caduta libera e senza prospettive di lungo termine e un dopo
che ridisegni il nuovo bipolarismo all'insegna della tradizione europea
ed occidentale. Un bipolarismo, dunque, che potrà vedere Liberali
che si contrapporranno a Conservatori e che nasceranno da una
scomposizione costruttiva del PdL, oggi partito di plastica, come
abbiamo scritto precedentemente, e che vede una pluralità di culture al
suo interno (dal radicale Capezzone al clericale Giovanardi). Un
disegno a parer mio costruttivo il Paese che finalmente chiuderà con la
stagione delle tifoserie e dei contenitori senza contenuto e che
potrebbe assistere ad una rinnovata stagione di laicità e libertà.
 Luca Bagatin
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15 marzo 2008
L'unico voto utile se non sei inciucista, fascista, comunista o clericale è semplicemente.....LIBERALE !
Ebbene sì: alle politiche del 13 e 14 aprile le liste del Partito
Liberale Italiano saranno presenti in tutta Italia nelle schede di
Camera e Senato. Da laici, laicisti e autentici democratici quali
pensiamo di essere, non vedevamo l'ora e vogliamo denunciare con
fermezza la palese violazione della Legge sulla par condicio da parte
di Rai e Mediaset e dei maggiori organi d'informazione nel rifiutarsi
di far conoscere ed invitare esponenti dell'unica presenza Liberale
alla competizione elettorale. Detto ciò, andiamo avanti per la
nostra strada: infondo esistono i blog e gli organi di stampa laica
attraverso i quali possiamo inteloquire e fare informazione senza peli
sulla lingua. Ricordiamo qui che il Partito Liberale di Stefano De
Luca si è staccato da tempo dalla Casa delle Libertà e si è
recentemente federato con il Partito Repubblicano di Giorgio La Malfa e
fu l'unico che inserì nel suo simbolo la dicitura "Casa dei Laici"
proprio all'indomani di quel bellissimo pamphlet intitolato "Democrazia
e Libertà - Riflessioni laiche" che uscì nel 2004 (edito da Rubettino
a cura di Arturo Diaconale e Davide Giacalone ed al quale collaborai
anch'io con alcuni scritti), che mirava proprio alla costituzione di
una Casa Laica, Liberalsocialista e Liberaldemocratica contro il
bipolarismo conservatore. Lo storico PLI, fondato nel 1943 dal
filosofo Benedetto Croce, sarà presente alle prossime elezioni con il
coraggio di chi vuole denunciare in primis "il rischio che la
democrazia rappresentativa italiana precipiti in una pericolosa deriva
plebiscitaria di stampo sudamericano", come recita il Comunicato Stampa
ufficiale della Segreteria del PLI. Il voto al PLI è, peraltro,
l'unico possibile voto utile per il cittadino tartassato (visto che lo
stesso EURISPES raccomanda vivamente la Liberale "flat tax" al 20%)
che, malgovernato in questi 15 anni sia da Berlusconi che dall'armata
Brancaleone di Veltroni ha visto ridotti i suoi introiti senza aver
ricevuto alcun reale servizio pubblico (si pensi anzi agli enti inutili
da abolire subito quali Province e comunità montane veri e propri
carrozzoni succhiasoldi). Il voto al PLI è poi l'unico voto utile per
il cittadino che vuole che siano rispettate le sue scelte e volontà
individuali, senza interferenze dogmatiche di questa o quella fede
religiosa, la quale è sempre e comunque un fatto privato; per il
cittadino che ritiene che il ruolo dello Stato debba essere limitato ai
servizi essenziali e che quei servizi dovrebbero essere comunque
realmente percepiti dall'utenza e, infine, per il cittadino che crede
nella scuola pubblica ed in una cultura laica e pluralista, ma senza
interferenze stataliste. Tanto il Pdl quanto il Pd hanno fatto di tutto per soffocare le voci laiche, liberali e riformatrici al loro interno. Il
Berlusca ha rinunciato a candidare Daniele Capezzone, il liberale
Alfredo Biondi, il repubblicano Antonio Del Pennino (che molto aveva
fatto per la revisione della legge sulla procreazione medicalmente assistita e per
la ricerca scientifica), Dario Rivolta e molti altri laici. Il Pd ha
imbaracato "qualche sasso in capponaia" radicale (ma alla fine sono 6,
7 o 8 i deputati radicali sicuri ?) viste le insopportabili insistenze
di Marco Pannella ed Emma Bonino che evidentemente temevano che i loro
rischiassero di rimanere fuori dal Parlamento e quindi: addio ai lauti
rimborsi elettorali ed alla possibilità di un po' di visibilità
mediatica (sic !). Quanto al programma del Partito Unico
Veltrusconiano è noto a tutti: più Stato e meno mercato; più Chiesa e
meno individuo; più Potere alle oligarchie e meno al cittadino. Morale della favola: "a regazzì, lassatece lavorà !" E'
per questo che, dal basso della nostra umile passione politica
dodecennale, invitiamo coloro i quali non si rassegnano allo status quo
(e quindi non solo i laici, liberali, liberalsocialisti, radicali non
irregimentati e repubblicani) a votare e sostenere l'unica presenza
Liberaldemocratica sulla scheda elettorale: l'unico voto utile a tutti
noi per non scadere definitivamente ed irreversibilmente in un nuovo
autoritarismo messmediatico e populista in un Paese che è già controriformatore (come ebbe a dire il grande riformatore e leader repubblicano Ugo La Malfa) di per sé .
Luca Bagatin
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10 marzo 2008
IL 13 E 14 APRILE VOTA PARTITO LIBERALE ITALIANO
   
Se non sei inciucista, fascista, comunista o clericale: il 13 e 14 aprile VOTA semplicemente LIBERALE
WWW.PARTITOLIBERALE.IT
COMUNICATO STAMPA
Il Partito Liberale
Italiano presenta liste in tutta Italia sia alla
Camera dei deputati che al Senato della Repubblica,
al di fuori degli schieramenti.
Questa decisione coraggiosa costituisce innanzitutto
un atto di denuncia rispetto al rischio che la
democrazia rappresentativa italiana di precipitare in
una pericolosa deriva plebiscitaria di stampo
sudamericano.
Le due maggiori formazioni politiche hanno, di fatto
raggiunto un accordo per eliminare le forze minori,
anche quelle di grande tradizione culturale,
invocando il “voto utile” onde governare
poi insieme o, comunque, fare di comune accordo, una
riforma costituzionale autoritaria, che
trasformerebbe il parlamento in un luogo di
“operai volenterosi ed ubbidienti” con
l’unico compito di schiacciare bottoni.
Dopo aver occupato l’informazione, le banche,
le assicurazioni, gran parte delle società di
costruzione, alcuni grandi gruppi finanziari stanno
cercando la complicità affaristica della politica
dominante per completare il saccheggio in corso del
Paese.
Gli italiani, tartassati dalla pressione fiscale,
dagli aumenti dei prezzi, dalla crisi economica,
hanno perso ogni fiducia in una classe dirigente, di
destra come di sinistra, che non ha saputo né voluto
avviare la necessaria modernizzazione del Paese.
Il PLI si pone come obiettivo quello di proseguire la
competitività, il riconoscimento del merito,
l’alleggerimento delle pastoie .burocratiche
con i relativi costi, la riduzione del carico
fiscale, le liberalizzazioni e privatizzazioni,
soprattutto nei servizi pubblici locali per ridurre i
costi a carico dei cittadini e garantire lo sviluppo.
Quella liberale intende porsi come una alternativa
radicale di chiarezza e trasparenza, rispetto al
progmatismo, dai contorni confusi , dilagante,
rimettendo l’individuo al centro della società
e restituendogli in pieno la sovranità, prevista
dalla costituzione, cominciando dalla reintroduzione
del voto di preferenza.
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10 gennaio 2008
Renato Traquandi ed il suo Ideario Repubblicano
   Renato Traquandi di Arezzo è militante del Partito Repubblicano
Italiano di lungo corso, nonché parente stretto dell'eroe del
Partito d'Azione Nello Traquandi, le cui spoglie mortali riposano nel cimitero di Trespiano accanto a quelle di Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi e Gaetano Salvemini.
Assieme ad Aldo Chiarle (per quanto riguarda la tradizione socialista),
al prof. Nicola Terracciano (per quanto riguarda la tradizione
azionista) e a Massimo Teodori (per quanto riguarda il liberalismo
radicale), è una delle mie "icone laiche": un "mostro sacro" di
passione politica e culturale e per questo non posso fare a meno di
conservare ogni suo appassionante articolo che leggo sulla Voce
Repubblicana. Con Renato, sino a che non ha cambiato indirizzo di posta elettronica (non conosco ancora quello nuovo), ci siamo sentiti in più di un'occasione per scambiarci alcune opinioni e debbo dire che mi piacerebbe molto conoscerlo di persona per stringergli fraternamente la mano.
Il suo ultimo articolo, apparso sempre sull'organo ufficiale del PRI il 2 ed il 3
gennaio, è quello che segue: una vera e propria immersione nella
cultura mazziniana con gli occhi e l'esperienza di uno la cui scorza è
bella coriacea !

Luca Bagatin
    Ideario Repubblicano
Ho
aspettato due settimane dal convegno di Milano della Voce Repubblicana,
egregiamente tenuto alla fine del mese di ottobre del corrente anno,
con lusinghieri risultati, prima di mettermi al computer e buttar giù
quanto nei miei pensieri si andava arroccando da mesi. In altri
ambienti e in circostanze analoghe, persone alquanto a noi affini
sovente si interrogano sui quesiti dell’esistenza, fornendo, ciascuno a
suo modo, risposte variegate sul “ chi siamo, da dove veniamo, dove
vogliamo andare?” In questo tempo il Partito Repubblicano Italiano,
pur mai stato un partito così detto “ di massa”, è pressoché ridotto ai
minimi termini, e non soltanto rispetto al consenso elettorale, ma per
le esigue risorse e la scarsa presa che ancora riesce ad ottenere sul
fronte della agorà culturale, nazionale e non solo. Sono passati
oltre dodici decadi dai patti di fratellanza, dalla scapigliatura
repubblicana, dall’economia associazionista, ed oggi ancora il nostro
Partito può fregiarsi, senza peraltro essere smentito da chicchessia,
di essere il più antico tra le formazioni politiche italiane. Certo
che si, dal 1885 ad oggi, la società italiana è profondamente mutata,
ed anche il P.R.I. non è più quello che aveva posto al primo punto del
suo programma la forma repubblicana dello Stato. Nato come partito
formato da piccoli coltivatori, mezzadri, artigiani e piccoli
funzionari statali, in alcune regioni particolarmente ostili al potere
papale e regio, come la Romagna, le Marche, il Lazio e la Sicilia,
presto divenne un partito di respiro nazionale, in cui militavano anche
operai, impiegati, imprenditori ed intellettuali, assieme a qualche, se
pur minima, presenza di militari di carriera. La crescita delle
attenzioni verso le tematiche mazziniane e risorgimentali è sempre
stata vivace e penetrante, nelle variegate categorie che nel corso dei
decenni si sono andate formando nella società italiana. Se, dal 1831 al
1848, l’esigenza primaria era l’Italia una, libera, repubblicana, dalla
prima guerra di indipendenza alla prima guerra mondiale l’impegno dei
molti “progressisti” si incentrò sullo stato sociale delle classi e
sulle rivendicazioni operaie, le quali, sì, erano state ben messe in
evidenza da Giuseppe Mazzini, ma che non avevano ne il tempo ne la
voglia di evolversi attraverso la cultura e le buone azioni prospettate
dalla democrazia. Questo determinò situazioni di autentico disagio
tra militanti formatisi al repubblicanesimo per eredità familiare o
frequentazioni di ambienti a loro compatibili e i nuovi aderenti,
attratti da generica simpatia o solidarietà per gli atteggiamenti di
attenzione ai problemi politici, economici e sociali, ma privi di
maturazione ideologica. Durante tutto il periodo dello stato
monarchico, pervicacemente tenuto dalla famiglia francese dei Savoia,
poco amata dalla quasi totalità degli italiani, capitava spesso di
sentire militanti del partito repubblicano che sostenevano tesi
classiste o liberiste, alcuni si dichiaravano libertari, incentrando la
principale ed accanita loro lotta sul problema dei rapporti stato –
chiesa. E’ in quei decenni che nascono gli antagonismi e le
contraddizioni; i sudditi giustamente reclamano diritti, riconoscendo
alla dinastia sovrana il tributo dei doveri cui si assoggettano, e
quasi non si accorgono di assumere posizioni in netto contrasto con la
dottrina storica del P.R.I. , che non ha dogma univoci, come la presa
del potere da parte delle masse operaiste predicata dal marxismo, ne la
fede necessaria a credere in redenzioni ultraterrene, come il clero
asserisce.. Il P.R.I. non ha schemi prefissati, manifesti da divulgare,
testi sacri da esporre a laudazione, non presuppone schemi prefissati,
regolamentazioni utopistiche, meccanicismi deterministici: sotto questo
aspetto il P.R.I. è il vero erede della grande polemica tra Mazzini e
Bakunin e prende le distanze dai tanti seguaci di Marx e Engels. Ovviamente
il P.R.I. una sua dottrina ce l’ha, eccome! Non si tratta comunque di
utopia solitaria e agguerrita come quella social comunista, ne tanto
meno della rassegnata vocazione al martirio di chi crede che la
sofferenza terrena sia il viatico per il futuro celestiale della post
mortem, bensì del maturato convincimento che una preparazione
culturale, impermeata sulla conoscenza ed il progresso scientifico,
costituisca la base, in un ambito storico geografico quale quello
italiano, per il benessere di una comunità integrata. E’ divenuto
luogo comune tra gli storici definire la prima guerra mondiale
combattuta sul fronte del Carso, sull’Isonzo e sul Piave, come “ quarta
guerra di indipendenza”, tagliando corto, con questa lapidaria
definizione, ai disagi delle popolazioni della Corsica, dell’Istria, e
delle altre numerose zone dove forte è l’identità italiana. I
carbonari, gli aderenti alla Giovine Italia, i Martiri di Belfiore, i
fratelli Bandiera, Mazzini e il giovane Garibaldi si erano fatti tutti
un’idea diversa di come dell’Italia, una, libera e quindi repubblicana
e nel 1919 ancora non c’era ne il tempo ne la voglia di prospettare ai
più, e quindi raggiungere democraticamente questo obiettivo. Scrisse
Giuseppe Tramarollo, mitico e ineguagliabile presidente, nel periodo
tra il 1970 e il 1980 della Associazione Mazziniana Italiana, che per
tal motivo era componente d’onore del Consiglio Nazionale del Partito
che quella distinzione faceva del partito fondato da Giuseppe Mazzini
“… una formazione che può trovare similarità, ma non identità fuori
della penisola. Per il P.R.I. non ci sono possibilità di adesioni
dottrinarie e disciplinari come la internazionale socialista o quella
liberale o quella cristiana, per non parlare del rapporto
internazionalista dei partiti comunisti. Al Parlamento Europeo di
Strasburgo i deputati repubblicani, dopo aver aderito, per necessità di
collocazione, al partito socialista, hanno potuto benissimo aderire a
quello liberale, trovandosi, però, parimenti a disagio. Questo fa
del P.R.I. una formazione storica, e non storicista, estremamente
diffidente delle ricette universali valide per tutti i tempi e per
tutti i paesi; viene da qui la critica mazziniana al socialismo
utopistico anglo tedesco francese che è ben sintetizzata
nell’avvertimento ai delegati del Congresso di Roma del 1871 delle
Società Operaie , da cui uscì il celebre Patto di Fratellanza, che è la
prima organizzazione nazionale del lavoro italiano:….. ^^ Se
l’emancipazione operaia è universale, le diverse condizioni dei popoli
fanno diversi i modi e a ciascun popolo appartiene essenzialmente il
segreto della scelta di quei modi^^. Riconosce però che solo nella
fase della trasformazione dei sistemi, utili alla perdita dei poteri
monarchici e clericali, con l’avvento della democrazia e della
tecnologia, che sono prodotti della cultura e della ricerca
scientifica, la pregiudiziale del territorio e della popolazione ivi
cresciuta resti valida. Bisogna diffonderlo a chiare lettere che
fu Giuseppe Mazzini ad intuire che solo per un determinato lasso di
tempo la storia umana sarebbe stata determinata dal concetto etico
politico delle nazionalità., cioè in volontà politiche definite
linguisticamente, etnicamente, territorialmente…. “ La Patria sacra, oggi, sparirà forse un giorno, quando ogni individuo rispecchierà in se la coscienza dell’umanità”. Ancor
oggi, in piena globalizzazione, e lo dimostrano le recenti vicende
della decolonizzazione e de il sorgere dei paesi denominati “terzo
mondo”, la nazionalità dei popoli è ancora viva e vitale, con le sue
degenerazioni come nazionalismo, imperialismo, razzismo. Nella
disgregazione dell’imperialismo sovietico forte è stato il ruolo, quasi
sempre vincente, della nazionalità, che mai era stata domata dal
bolscevismo russo, che in settant’anni di potere assoluto aveva
praticato un vero e proprio genocidio linguistico, oltre che umano. Mazzini,
dunque, aveva disconosciuto il potere in mano alla chiesa, senza mai
rinnegare Dio, cui soleva coniugare i termini Patria e Famiglia, ed
ancora non accettava i fermenti internazionalisti, riconoscendo al
contempo con l’intuizione della Terza Roma e La Giovine Europa, i cui
postulati già presagivano l’abbattimento dei confini. Terzo
carattere del repubblicanesimo è il “laicismo”, che non significa
affatto anti clericalismo, divieto a svolgere e divulgare gli
insegnamenti religiosi, ma presa di distanza tra i problemi dello
spirito e la gestione della società civile; il Campanile per nutrire
l’anima e la Torre Civica per custodire al meglio la persona fisica,
secondo la tradizione umanistica classica. All’opposto della concezione laica dello stato c’è il modello confessionale. Confessionali
sono l’attuale stato italiano, come quello spagnolo, confessionali sono
gli stati arabi, che fondano la società civile sul diritto cranico,
confessionali sono i paesi marxisti, che hanno una pedagogia, una
estetica, una morale, prettamente di stato. L’ideale repubblicano
laico è quello dell’articolo 7 della Costituzione Repubblicana Romana
del 1849 che recita: “ Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio
dei diritti civili e politici”. Anche il 1° emendamento della
Costituzione U.S.A. è per noi positivo: “ Il Congresso mai potrà fare
alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione, tanto meno
proibirne il libero culto”. Pertanto ribadiamo con fermezza che il
laicismo professato dal P.R.I. non è indifferenza di fronte alla
esigenza religiosa dello spirito umano; questo atteggiamento nasce
invece da una concezione religiosa della vita umana, che rispetta la
personalità nei suoi diritti individuali ( libertà civili) e nelle
formazioni sociali ( famiglia, partito, associazione, chiesa). Dalle
cose dette fin qui, allora, il P.R.I. è un partito mazziniano? Solo al
Vate si ispirano tutti coloro i quali in questo partito operano? Certo,
nella cultura repubblicana in alta considerazione sono tenuti gli
insegnamenti mazziniani, ma come ben sanno i tanti che in questo
partito militano, nel P.R.I. è ben presente l’illuminismo di Cattaneo,
così come non sono mai stati cestinati i contributi di Bovio con il suo
idealismo, il positivismo di Ghisleri e Conti, il patriottismo
militaresco di Pacciardi. Se si riconosce la funzione portante del
Mazzini per l’unità d’Italia, e si è laici e democraticamente portati
al confronto culturale delle idee, oltre che favorevoli alla
divulgazione ed allo sviluppo della ricerca scientifica, si può
benissimo essere repubblicani. Non è invece possibile essere
repubblicani del P.R.I. e marxisti, repubblicani e anarchici, come
invece è possibile essere repubblicani e credenti, facendo fare al
cervello un sano lavoro di selezione con il sale del ragionamento. Un
altro concetto respinto dal repubblicanesimo italiano è quello di
sovrastruttura: diritto, morale, arte non sono sovrastrutture
dell’unica determinazione economica, ma categorie universali e
permanenti, anche se i contenuti variano secondo una precisa evoluzione
storica. Nell’ambito di questa concezione antimaterialistica,
antideterministica, antimeccanicistica c’è ampio spazio per il
liberalismo economico di Cattaneo, come per molti postulati del
socialismo democratico nord europeo. Contro il concetto totalitario :
“Tutto nello stato, tutto per lo stato, nulla contro lo stato”, il
repubblicano contrappone il motto mazziniano: “ Tutto per
l’associazione nella libertà”. Secondo l’etica repubblicana non è
l’economia la forza trasformatrice del mondo ma l’educazione e la
conoscenza, entrambe incentrate nel sistema scolastico prima e nelle
forme associative ( circolo, partito, sindacato) e istituzionali ( enti
locali, legislazione statale, pubblica e privata gestione delle
risorse. L’educazione scolastica resta fondamentale e spetta allo
stato, almeno nella fascia dell’obbligo, per formare i futuri cittadini
ed abituarli a capire il mondo che li circonda. Possiamo dunque
concludere che il P.R.I. è l’opportunità della cultura laica per il
senso dello stato e garanzia primordiale, perché senza repubblica non
c’è piena democrazia, non c’è piena libertà, non c’è progresso sociale,
non si risolvono i disagi civili e le problematiche di sviluppo del
mezzogiorno. Quale funzione può avere oggi il P.R.I.? Esiste una
continuità di comportamenti dei partiti politici italiani sul proscenio
partitico; tuttora il consenso viene ricercato secondo il principio del
voto di scambio. Il cittadino elettore domanda soddisfazioni: la
promozione nel posto di lavoro, l’aumento di stipendio, la pensione,
l’occupazione dei rampolli, la licenza edilizia, la pratica di condono,
il posto al ricovero per l’anziano genitore, e le mille e mille altre
soluzioni ai problemi di tutti i giorni. E le segreterie politiche si
organizzano e promettono l’interesse e la probabile soluzione. Il
P.R.I. offre agli elettori la possibilità del “ voto della ragione”
come Giovanni Spadolini definiva il consenso che al P.R.I. arrivò nel
primo lustro degli anni “80”, quando venne superata la vetta altissima
del 5%. Già Ghisleri, Conti, Pacciardi e La Malfa avevano
identificato per il P.R.I. una funzione illuministica, contro ogni
genere di fanatismo e ogni minaccia all’unità nazionale. Ghisleri
diceva che “…il P.R.I. è depositario di una dottrina più culturalmente
avanzata perciò liberatrice ed antagonista di quella marxista e di
quella cattolica”, ponendolo in prima linea contro il male maggiore di
oggi, che è quel modo di agire reso celebre dal principe di Lampedusa e
dal recente film Il Vicerè. Ricordate? Cambiare tutto per non cambiare
nulla. Brigare così, parlando di voler procedere a fare riforme, per
poi partorire sgangherate soluzioni a vantaggio dei soliti noti, non
porterà alcun vantaggio al Paese. Dall’una e dall’altra parte
delle sponde del bipartitismo si continua a parlare e a discutere
dell’aria fritta e del sesso degli angeli. Sta al Partito
repubblicano Italiano rompere ogni indugio e porre all’elettorato
risoluzioni al modello di società, di economia, di organizzazione dello
stato per l’energia, l’ambiente, il sociale, il diritto al lavoro e ad
una vecchiaia serena. Oltre che un patrimonio da salvaguardare abbiamo una reputazione da difendere!
Renato Traquandi
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