Lo sguardo malinconico e un po' folle
lo ha sempre avuto. Così come ha sempre avuto la corporatura minuta
e mingherlina. Dario Argento sembra incarnare, su di sé, i suoi
medesimi incubi, le medesime ossessioni che nel corso degli anni ha
saputo trasmettere sullo schermo.
Figlio d'arte, Dario Argento, romano,
classe 1940, ha respirato sin da bambino - nello Studio Luxardo di
Via del Tritone, di proprietà della madre Elda Luxardo - la passione
per l'arte, per l'immagine, per quel cinema di cui peraltro si
occipava già suo padre – Salvatore Argento – già partigiano
delle brigate “Giustizia e Libertà” e successivamente produttore
cinematografico.
Fu così che, da giornalista recensore
di “Paese Sera”, nel 1970, inizierà – pressoché da
autodidatta – a realizzare sceneggiatura e riprese del suo primo
trhiller: “L'uccello dalle piume di cristallo”.
Da allora sarà un crescendo di
trhiller e successivamente di horror, sempre avvolti da atmosfere
oniriche, a tratti surreali, con l'unica eccezione di “Le cinque
giornate”, film del 1973, commedia in costume ambientata durante il
Risorgimento, interpretato da Adriano Celentano.
Sono da sempre un grande estimatore di
Dario Argento, che ho anche avuto la possibilità di conoscere nel
2010, stupendomi di come entrambi non solo non fossimo fisicamente
dei giganti, ma, al contempo, ponendogli alcune domande, mi rendevo
anche conto di quanto fossimo caratterialmente simili.
Non ho potuto, dunque, dopo aver
peraltro visto tutti i suoi film, non leggere la sua prima
autobiografia, “Paura”, che da alcuni giorni popola le librerie
di tutta Italia, edita da Einaudi.
In “Paura”, Dario Argento, accanto
al racconto di come e perché sono stati realizzati i suoi film,
racconta sé stesso. Per la prima volta racconta la sua
introversione, la necessità di isolarsi da tutti, la diffidenza nei
confronti del prossimo, i periodi di anoressia, il suo amore per le
donne – ha avuto molte storie sentimentali, fra cui una l'attrice
Marilù Tolo e con l'icona dei suoi film, ovvero Daria Nicolodi,
madre di Asia – che è riuscito a conquistare non per la sua
avvenenza fisica, quanto attraverso la sua intelligenza, il suo modo
di parlare, di raccontarsi, di amare.
In “Paura” Dario Argento si mette
così a nudo al punto che l'incipit del libro racconta il suo
desiderio di suicidarsi, nel 1976, quando viveva all'Hotel Flora di
Via Veneto a Roma, nel periodo in cui stava per terminare le riprese
di “Suspiria”, il suo sesto film. A quel tempo, il regista e
sceneggiatore, sentiva la necessità di scomparire per sempre. Poi,
grazie all'aiuto di un amico medico, riuscirà a desitere,
comprendendo che, come egli scrive “il suicidio è una strada a
senso unico: se la imbocchi non puoi più tornare indietro, se invece
riesci a evitarla sei salvo”.
Saranno forse i
suoi incubi interiori a renderlo forse il miglior regista di horror
vivente, quello che, meglio di altri, riesce a far emergere – sullo
schermo e nell'intreccio narrativo - gli aspetti più reconditi della
psicologia umana.
In “Paura” c'è
questo e c'è anche molto altro. C'è il ritratto di un uomo che ha
attraversato un'epoca del cinema e della società italiana: dagli
Anni '60 sino ad oggi. E poi c'è il tenero rapporto fra quest'uomo e
le sue figlie, Fiore ed Asia. Figlie che, peraltro, intraprenderanno
la carriera di attrici (Asia anche di regista) e che reciteranno
inizialmente proprio in film realizzati dal padre.
Ed infine c'è il
rapporto fra Dario Argento e suo padre, che per lui fu un vero
maestro di vita, oltre che la prima persona che credette nei suoi
film al punto da essere il primo a volerli produrre.
Questi trovo siano
gli asptti più significativi della prima autobiografia del Maestro
dell'horror, che si legge davvero con grande passione, quasi fosse un
romanzo d'avventura e di mistero, anche da parte di coloro i quali
non hanno mai visto un suo film o non ne conoscono il personaggio.
Del resto,
nonostante abbia visto almeno cinque volte ogni film di Dario Argento
(escluso “Le cinque giornate”, lo ammetto, che appena lo vidi non
lo trovai per nulla interessante), debbo ammettere che, dopo aver
letto la storia della sua vita e la composizione dei suoi film, mi
viene voglia di rivedermeli ancora una volta tutti quanti.

Luca Bagatin (nella foto con Dario Argento)